Opinione Giornata dell’Europa Abbonati/e

Alle elezioni europee come all’Eurovision, difendiamo il nostro diritto di scegliere

Appuntamento pacchiano di unità e di cambiamento europeo, l'Eurovision è anche il riflesso di momenti di liberazione e protesta. Nonostante la sua stravaganza kitsch, riesce anche a trasmettere un profondo messaggio sulla fragilità della democrazia europea.

Pubblicato il 9 Maggio 2024 alle 08:30
Questo articolo è riservato ai nostri membri

Questo articolo uscirà per la prima volta in occasione della Giornata dell'Europa, a poche settimane dalle elezioni europee. Questo processo democratico unico e multinazionale sarà senza dubbio accolto dalla solita apprensione, apatia, se non addirittura angoscia collettiva. Eppure, come europei ed europee, siamo anche a poche ore da un altro "evento" pancontinentale che, come in un universo speculare, vedrà centinaia di milioni di noi prendere con entusiasmo il cellulare da Barcellona a Bratislava, da Stoccolma a Sydney (sic) per fare esattamente la stessa cosa: votare! Insieme a tutti gli altri nello stesso continente. Mesdames et Messieurs, ecco a voi l’Eurovision!

Come una mietitrebbiatrice che di anno in anno produce un raccolto sempre più imprevedibile di eccentricità, pacchianeria e pura meraviglia, niente poteva essere così impensabile eppure così gioiosamente europeo. Gli americani lo hanno scoperto a loro spese. Due anni fa hanno importato l'idea. È stata cancellata dopo una sola stagione. Tralasciando il fatto che è durato per ben sei settimane, in nessun universo concepibile "Ehi Texas, potete dirci come avete votato?" avrebbe lo stesso peso storico e sarebbe elettrizzante come "Bonsoir Baku, possiamo avere i voti della giuria dell'Azerbaijan, per favore?".

Mi torna in mente un'amica di Miami che dieci anni fa è stata mia ospite a Parigi, guarda caso proprio durante il weekend dell'Eurovision. Non ne aveva mai sentito parlare. L'avevo avvertita che sabato sera il mio appartamento si sarebbe riempito di quaranta persone isteriche delle provenienze più disparate, che avrebbero sventolato bandierine di plastica, preso appunti su cartoncini segnapunti macchiati di vino, twittato e "condiviso il momento". Ricordo ancora oggi il suo sguardo smarrito quando si è alzata dopo aver visto tutte le 26 canzoni in gara, pensando che fosse finalmente finita. "Oh no, Isabel, le ho detto, c’è ancora... la procedura di voto!". 

Che piaccia o meno (e molti si schierano con veemenza pro o contro) è l'unico evento davvero pancontinentale di massa, o quasi. Gli europei seguono le loro rispettive squadre di calcio, con livelli di passione da stadio. È uno sport, tuttavia, che vedrà sempre e solo lo scontro fra due avversari. Da quasi 70 anni, per un paio d'ore, una sera di maggio, un intero continente si riunisce e ogni paese, con uno sguardo ai vicini, sotto sotto pensa di essere l'unico a "non prenderlo sul serio".

Pur essendo molto deriso, l’Eurovision ha un’origine impeccabile e davvero molto toccante. A metà degli anni Cinquanta, la solidarité européenne era ancora sepolta sotto la polvere di carbone di trattati appena firmati. Ciononostante, nazioni che solo un decennio prima si bombardavano a vicenda, decisero di organizzare, fra tutte le cose che avrebbero potuto scegliere, un gioioso concorso musicale. Per far sì che tutti canticchiassero le stesse canzoni. Melodie insulse dovevano reggere il peso opprimente di un lontano barlume di speranza di un futuro migliore, insieme.

Nei decenni turbolenti delle nostre diverse storie nazionali e comuni, l'Eurovision, in un modo tutto suo, è "stato lì" per noi. Il 6 aprile 1974 non tutti erano entusiasti della nascita del fenomeno musicale del millennio, gli ABBA. Il governo portoghese aveva bloccato i sistemi di comunicazione tra esercito, marina e aviazione, rendendo impossibile un'insurrezione congiunta. I protagonisti della “rivoluzione dei garofani" avevano bisogno di un segnale inatteso per scendere in piazza. E così, quando Paulo de Carvalho condivise lo stesso palco scintillante con i suoi avversari svedesi stretti nei loro pantaloni brillantinati per cantare E Depois do Adeus, fu il segnale che i rivoluzionari stavano aspettando per rovesciare la più antica dittatura fascista d'Europa. I piccoli "momenti" abbondano.

Nel 1981 una ragazza tedesca di 20 anni con la sua chitarra chiese semplicemente "un po' di pace sulla terra" e l'intero continente disse di sì. Recentemente intervistata dalla TV tedesca, Nicole ricorda la sua vittoria per un motivo particolare. "Il fatto che Israele (e conosciamo la nostra storia condivisa che allora era molto più recente) abbia dato a me, una ragazza tedesca che cantava una canzone sulla pace, il punteggio massimo, dodici punti, mi commuove ancora oggi".

Nel 2014 l'omofobia sembrava aver messo radici in tutta l'Europa dell'est. Ciononostante, un paese dopo l’altro ha assegnato dodici punti alla drag queen barbuta Conchita Wurst e al suo pezzo stile anni sessanta che ricorda le colonne sonore dei film di 007. Nel suo modo inimitabile, l'Eurovision ha fatto ciò che solo questo concorso può fare: dare voce a un intero continente per dire no, nein, non all'omofobia di Putin. La Kalush Orchestra (Ucraina), con il suo martellante inno rap Stefania, avrebbe vinto comunque nel 2022. La musica non aveva importanza. Tutta Europa, per una volta, ha parlato la stessa lingua.

Sei un media, un'azienda o un'organizzazione? Dai un'occhiata ai nostri servizi di traduzione ed editoriale multilingue.

Sostieni un giornalismo che non si ferma ai confini

Approfitta delle offerte di abbonamento oppure dai un contributo libero per rafforzare la nostra indipendenza

Sullo stesso argomento