Analisi Fondi europei e Stato di Diritto

Il conflitto tra l’Ungheria di Orbán e l’Europa: fondi Ue, corruzione e democrazia

Da anni il governo ungherese del Primo ministro Viktor Orbán è in conflitto con le istituzioni europee a Bruxelles, nel quadro dei fondi Ue e delle violazioni dello Stato di diritto. E il contesto della guerra in Ucraina complica la situazione.

Pubblicato il 30 Agosto 2022 alle 17:12

I critici del governo ungherese hanno dalla loro una lunga lista di lamentele: le restrizioni alla discussione delle questioni LGBT nelle scuole, l'indebolimento dell'indipendenza dei media e del sistema giudiziario e l'uso improprio dei fondi Ue sono sono alcuni delle questioni che si sono sollevate intorno all’Ungheria negli ultimi anni. 

Il leader ungherese, Viktor Orbán, non si lascia impressionare né intimidire.  Al potere dal 2010, il partito Fidesz ha conquistato la sua quarta maggioranza parlamentare nell'aprile di quest'anno. Sebbene il governo temesse di perdere, la Fidesz ha in realtà rafforzato la sua posizione, ottenendo il 52,5 per cento dei voti e poco più di due terzi dei seggi in Parlamento.

Gli autori del rapporto 2021 della Fondazione Bertelsmann sulla governance sostenibile in Ungheria rimproverano tuttavia al governo della Fidesz di aver creato un gioco elettorale iniquo: l'opposizione è stata ostacolata dalla riduzione dei finanziamenti ai partiti politici, dall'indebolimento dei comuni (che sono, in alcuni casi, bastioni dell'opposizione), dalla crescente influenza della politica sui mezzi d'informazione e dall'aumento della censura.

Ma dal punto di vista di Orbán, la legittimità del suo governo è stata confermata: nel suo discorso post-elettorale, si è vantato di aver ottenuto "una vittoria così grande che si può vedere dalla luna,e da Bruxelles".

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Tutto questo mette le istituzioni europee in una situazione imbarazzante, mentre valutano se tagliare l'accesso dell'Ungheria ai fondi dell'Ue. Il "meccanismo per lo stato di diritto" di recente creazione consente all'Ue di ritirare i finanziamenti ai paesi che li spendono male. A Bruxelles si sono astenuti dall'usare questo potere, forse per non essere visti come un'interferenza nelle elezioni ungheresi.

Inoltre, la commissione europea deve ancora decidere se approvare il piano economico post-Covid dell'Ungheria e se fornire quasi 17 miliardi di euro in sovvenzioni e prestiti dal pacchetto di rilancio dell'Ue Next Generation. Il rapporto Bertelsmann teme che i fondi Ue post-COVID possano finire per "arricchire gli amici del governo" e limitare il margine di manovra fiscale dei futuri governi.

Le istituzioni dell'Ue hanno il delicato compito di navigare tra due imperativi: quello di rispettare la volontà del popolo ungherese e quello di tutelare gli interessi di un collegio elettorale più ampio, ovvero i 447 milioni di cittadini dell'Unione.

Proteggere i fondi Ue dalla corruzione

La commissione europea è al servizio di tutti i contribuenti dell'Ue "proteggendo il bilancio dell'Unione da violazioni dei principi dello stato di diritto che incidono sulla sana gestione finanziaria o sulla tutela degli interessi finanziari dell'Unione". In parole povere: a prescindere dalla vittoria elettorale della Fidesz, l'esecutivo dell'Ue non può tollerare che i fondi europei finiscano nella corruzione e nelle tasche degli uomini di partito.

I critici sostengono che i solidi risultati economici dell'Ungheria e la fiducia degli investitori dimostrano che la corruzione non è un problema debilitante e che la corruzione potrebbe essere più grave in altri paesi Ue nella regione.

In ogni caso, una decisione così importante come il ritiro dei finanziamenti Ue da un paese è eminentemente politica. Rispetto ai suddetti finanziamenti, che comportano trasferimenti netti pari a circa il 2 per cento del Pil ungherese, non si tratta di un cambiamento di poco conto per il paese: rappresenta miliardi di euro e una parte sostanziale della spesa pubblica.

Mentre la Commissione da sola può bloccare i fondi per la ripresa dell'Ungheria, un ritiro generale dei finanziamenti Ue richiederebbe il sostegno di una super maggioranza dei governi nazionali che rappresentano il 55 per cento degli stati membri e il 65 per cento della popolazione. Questo significa che sarà praticamente impossibile senza il sostegno di almeno un grande stato membro dell'Europa occidentale.

Un taglio sostanziale ai fondi per l'Ungheria è poco probabile?

Un compromesso potrebbe essere in vista. "Ci sono indicazioni che il governo ungherese sia disposto a fare dei passi in questa direzione, dato che il ministro Gergely Gulyás ha annunciato all'inizio del mese che il governo accetta alcune condizioni", ha dichiarato Zsuzsanna Vegh, ricercatrice presso l'European Council on Foreign Relations (ECFR). "Tuttavia, dubito che si tratti di cambiamenti sostanziali".

Nell'attivare il meccanismo dello stato di diritto ad aprile, il commissario europeo per il bilancio e l'amministrazione, Johannes Hahn, aveva annunciato che il ritiro dei fondi sarebbe stato " proporzionale all'impatto della violazione sul bilancio dell'Unione (europea)". Questo sembra suggerire che un taglio brutale dei fondi è improbabile.

La questione è inficiata anche da ampie dispute ideologiche e geopolitiche. Dal 2014 Orbán sostiene di di costruire un'alternativa alla democrazia liberale occidentale. Come ha detto in un importante discorso alla minoranza ungherese nella città termale transilvana di Băile Tușnad: "La nazione ungherese non è una semplice somma di individui, ma una comunità che deve essere organizzata, rafforzata e sviluppata, e in questo senso il nuovo stato che stiamo costruendo è uno stato illiberale, uno stato non liberale".

La visione di Orbán può forse essere paragonata al modello di democrazia illiberale di Singapore, che ha anch'esso sfumature comunitarie e familiste. Sia l'Ungheria che Singapore hanno spinto per aumentare i tassi di fertilità, hanno sostenuto con forza le famiglie eterosessuali e hanno cercato di evitare cambiamenti nel mix etnico dei rispettivi paesi.

Forse la differenza più significativa con Singapore riguarda l'approccio “tolleranza zero” nei confronti della corruzione, che non si applica certamente all’Ungheria.

Dal punto di vista geopolitico, la questione è stata complicata dalla necessità pratica di mantenere l'Ungheria come stato membro costruttivo dell'Ue, in particolare dopo l'invasione dell'Ucraina a febbraio. Orbán è stato in parte rieletto con il messaggio "prima gli ungheresi", cercando di preservare i magiari dal coinvolgimento nella guerra e dalle sue conseguenze negative, in particolare sui prezzi dell'energia.

È probabile che il governo Orbán ponga il veto a ogni iniziativa importante dell'Ue – che si tratti di sanzioni alla Russia, di un'imposta sulle società dell'Ue o di un'eventuale riforma dei Trattati dell'Ue – fino a quando l'Ungheria non sarà più nel mirino finanziario della Commissione. Le sanzioni dell'Ue sul petrolio russo sono state approvate solo escludendo di fatto l'Ungheria.

La Repubblica Ceca, che detiene la presidenza di turno dell'Ue per il secondo semestre di quest'anno, potrebbe adottare una linea conciliante. In un articolo pubblicato su Politico, il primo ministro ceco, Petr Fiala, ha detto di considerare la diversità di opinioni all'interno dell'Ue come un punto di forza e che la presidenza ceca "cercherà sempre di considerare attentamente tutte le opinioni espresse nelle discussioni".

Ma questo potrebbe rivelarsi difficile. Di recente, Orbán ha suscitato l'indignazione di molti in patria e all'estero, in un dipcorso in cui ha affermato che gli ungheresi "non vogliono diventare una razza mista" e che i Paesi multiculturali dell'Europa occidentale "non sono più nazioni". Orbán, inoltre, ha chiesto colloqui di pace tra Kiev e Mosca, la riduzione degli aiuti militari all'Ucraina e l'abbandono delle sanzioni contro la Russia.

Per tutte queste ragioni, è altamente improbabile che l'Ue sospenda del tutto i diritti di voto dell'Ungheria – cosa che richiederebbe l'unanimità di tutti gli altri 26 Stati – e la Fidesz rimarrà quasi certamente al potere per almeno altri quattro anni. 

Sarà necessario trovare un modus vivendi che rispetti la volontà del popolo ungherese, protegga i contribuenti europei e non paralizzi l'Ue come attore geopolitico.

In un mondo segnato dalla guerra in Ucraina, dalla dipendenza energetica dalla Russia e da un'America a volte instabile, la divisione è un lusso che l'Europa non può permettersi.


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