Idee Lezioni dalla guerra | 6

L’Europa non è (ancora) riuscita a costruire un destino comune. E se si ispirasse agli Stati Uniti?

Se l’Europa avesse una struttura federale sarebbe in grado di prendere decisioni comuni e più forti e contribuire in maniera più sostanziale a situazioni di crisi come la guerra in Ucraina. Il contributo alla serie “Lezioni dalla guerra” dell’autore svedese Göran Rosenberg.

Pubblicato il 14 Settembre 2023 alle 12:14
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L’Unione europea è il prodotto di guerre: di due guerre mondiali che hanno quasi messo fine all’Europa come la conosciamo, di una Guerra fredda che sembra aver calato una cortina di ferro che la divide ancora, e di un’esperienza quasi mortale per l’Europa in quanto idea.

Perché, più di ogni altra cosa, l’Europa è un’idea: l’idea nella quale molte persone, con lingue e culture diverse, affollate su una penisola irregolare all’estremità occidentale del continente asiatico, condividono una casa e un destino comune. Questa molteplicità culturale non è una caratteristica recente dell’Europa, quanto piuttosto la sua situazione geopolitica e, allo stesso tempo, la sua sfida.

Questo significa che l’Europa ha un problema con sé stessa, poiché i suoi abitanti non sono ancora riusciti a condividere né una casa comune né un destino comune. Molte persone hanno creato la loro casa in Europa, a volte sulle rovine degli altri, ma l’Europa in sé non è riuscita a diventare casa per nessuno. 

L’Unione europea è rimasta un progetto in cui solo i paesi che ne fanno parte sono stati in grado di creare il senso di appartenenza e lealtà associato alla nozione di “casa”. Questo si è visto quando il Regno Unito è uscito dall’Unione, sbattendo la porta e suscitando appelli per ulteriori uscite dall’Ue – Swexit, Italexit, Öxit, ecc. O, come ha recentemente dichiarato l’ex ministro degli esteri tedesco Joschka Fischer: "L'Europa si trova in una regione sempre più pericolosa, eppure rimane una confederazione di stati nazionali sovrani che non hanno mai messo insieme la volontà di raggiungere una vera integrazione, anche dopo due guerre mondiali e la Guerra fredda. In un mondo dominato da grandi stati con bilanci militari in crescita, l'Europa non è ancora una vera potenza".

Quindi era forse ora che alle tante nazioni che formano l’Europa venissero ricordate le condizioni geopolitiche per la loro indipendenza e sicurezza. Ciò è avvenuto la mattina del 24 febbraio 2022, quando la Russia di Vladimir Putin ha lanciato la sua immotivata guerra di aggressione, non solo contro l’Ucraina, ma anche contro l’ordine di sicurezza che le nazioni europee, membri e non membri della Nato, davano per scontato.

Stati nazione disperati

Da quel momento, nulla può essere dato per scontato. I tempi sono cambiati, come ha dichiarato il Cancelliere tedesco Olaf Scholz tre giorni dopo il pesante attacco a Kiev. Ancora una volta, alle nazioni europee è stato brutalmente ricordato che se non possono mantenere, e se necessario difendere, ciò che hanno in comune, potrebbero ritrovarsi senza più niente da condividere. E, di nuovo, l'Europa diventerebbe un insieme di stati nazionali disparati, ciascuno troppo piccolo e debole per affermarsi in un mondo in cui la forza vince, mondo che si aprirebbe con la vittoria di Putin.  

Certamente, l’Unione europea ha le sue debolezze e i suoi difetti, e soffre di un deficit di democrazia, ma è di gran lunga il tentativo più democratico di molte delle nazioni della penisola europea per costruire una comune struttura politica. Senza una struttura politica comune europea, come sostenevano gli ideatori e architetti originali del progetto, si sarebbe aperta nuovamente una strada verso il conflitto, la guerra e l’auto-distruzione. La loro strategia era quella di preparare il terreno, da una comunità economica fino ad arrivare, nelle parole del Trattato di Roma del 1957, a “porre le basi di un’unione sempre più stretta tra i popoli d’Europa”.


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Questa strategia è stata così efficace all’inizio, che così tante nazioni hanno progressivamente voluto farne parte, che è stato molto facile dimenticare quanto fosse anche fragile e vulnerabile: vulnerabile al dissenso nazionalista dall’interno; vulnerabile alle pressioni divisive dall’esterno. Vulnerabile anche, si sarebbe scoperto, dalla sua dipendenza per la sicurezza degli Stati Uniti, che potrebbero ancora una volta eleggere un presidente pronto a rompere l’alleanza transatlantica e lasciare gli europei a difendersi da soli.

Da questo punto di vista, la reazione istantanea e viscerale dell’Europa all’attacco russo ha fatto ben pensare. L’impegno per la causa dell’Ucraina è stato profondo e ampio, così come la disponibilità a sopportare le potenzialmente dure conseguenze della chiusura dei rubinetti del petrolio e del gas russi. La decisione immediata di Svezia e Finlandia di richiedere l’adesione alla Nato è stata invece una drammatica inversione di posizioni mantenute a lungo.

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