Attualità Dopo la guerra in Libia
Un ribelle nell'avamposto di Twama, a sudest di Tripoli.

Il pantano ci attende

L'euforia della vittoria è prematura: l'occidente sta già ripetendo gli stessi errori della guerra in Iraq. Se Gheddafi rimane in libertà c'è da aspettarsi un'estenuante guerriglia che logorerà il nuovo potere.  

Pubblicato il 25 Agosto 2011 alle 14:07
Un ribelle nell'avamposto di Twama, a sudest di Tripoli.

Sempre condannati a combattere come nell'ultima guerra, anche in Libia stiamo commettendo il solito, vecchio errore.

Muammar Gheddafi è sparito nel nulla dopo aver promesso che combatterà fino alla morte. Esattamente comeo Saddam Hussein. E naturalmente, quando nel 2003 Saddam è sparito e le truppe Usa hanno subìto le prime perdite causate dall'insurrezione irachena, ci è stato detto - dal proconsole americano Paul Bremer, dai generali, dai diplomatici e da "esperti" televisivi ormai in declino - che la resistenza erano "duri a morire" senza speranza che non avevano capito che la guerra era finita.

E dunque, se Gheddafi e suo figlio "testa d'uovo" resteranno in libertà - e se le violenze non si fermeranno - quando ci vorrà prima di vedere i nuovi "duri a morire" senza speranza che non vogliono semplicemente accettare l'autorità dei ragazzi di Bengazi e la fine della guerra? Stavo scrivendo questo pezzo da 15 minuti esatti (erano le due del pomeriggio di ieri) quando un reporter di Sky News ha inaugurato l'uso di "duri a morire" per definire gli uomini di Gheddafi. Capito cosa intendo?

Naturalmente la presenza massiccia di diplomatici occidentali, rappresentanti delle grandi compagnie petrolifere, mercenari occidentali strapagati e agenti segreti francesi e britannici che lavorano nell'ombra - tutta gente che sostiene di essere in Libia solo per "consigliare" e non per partecipare - ha creato la Green Zone di Bengazi. Anche se (per adesso) non sono ancora circondati di mura, stanno governando la Libia attraverso la schiera di presunti eroi e mascalzoni che si sono autonominati politici. Possiamo anche chiudere un occhio sull'assassinio del loro comandante - chissà perché nessuno parla più di Abdul Fatah Younes, anche se il suo omicidio è avvenuto appena un mese fa a Bengazi - ma resta il fatto che la loro sopravvivenza è legata al cordone ombelicale con l'occidente.

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Naturalmente questa guerra è diversa dalla perversa invasione dell'Iraq. La cattura di Saddam ha avuto come unico risultato una serie infinita di attacchi alle truppe occidentali. La ragione è semplice: tutti coloro che si erano tirati fuori dal conflitto temendo che gli americani avrebbero rimesso Saddam al suo posto, una volta liquidato il dittatore hanno perso ogni freno inibitorio. Al contrario, l'eventuale cattura di Gheddafi e del figlio Saif non farebbe altro che accelerare la fine della resistenza dei sostenitori del colonnello. La reale paura dell'occidente - intendo quella attuale, le cose possono sempre cambiare nel giro di una notte - riguarda la possibilità che l'autore del Libro verde sia riuscito a raggiungere sano e salvo la sua roccaforte di Sirte, dove la lealtà tribale potrebbe dimostrarsi più forte della paura di un attacco delle truppe rivoluzionarie spalleggiate dalla Nato.

Dopo la rivoluzione del 1969, all'inizio della sua dittatura, Gheddafi ha trasformato i giacimenti della regione di Sirte nella prima zona franca per gli investitori di tutto il mondo. Sirte, insomma, non è Tikrit. È lì che si è svolta la prima grande conferenza dell'Unione africana, ad appena 16 chilometri di distanza dal luogo di nascita del colonnello. La città e la regione hanno prosperato per tutti e 41 gli anni in cui Gheddafi ha tenuto in pugno la Libia. Strabone, geografo greco, raccontava di come gli insediamenti nel deserto attorno a Sirte facevano somigliare la Libia alla pelle di un leopardo. Sicuramente Gheddafi deve aver apprezzato la metafora. Quasi 2.000 anni dopo Sirte era la cerniera tra le due regioni colonizzate dagli italiani, la Tripolitania e la Cirenaica.

Scambio di ruoli

Nella regione di Sirte i "lealisti" hanno sconfitto i "ribelli" durante tutto il corso di questi sei mesi di guerra. Non c'è alcun dubbio che presto saremo costretti a cambiare queste definizioni: i sostenitori del Consiglio nazionale di transizione appoggiato dall'occidente verranno chiamati "lealisti", mentre i ribelli pro Gheddafi diventeranno "terroristi" che minacciano la nuova amministrazione libica amica degli occidentali. Qualunque cosa accada, resta il fatto che Sirte, i cui abitanti pare stiano attualmente negoziando con i nemici di Gheddafi, potrebbe diventare presto uno dei posti più interessanti della Libia.

Ma cosa sta pensando il colonnello? Siamo convinti che sia disperato. Ma è davvero così? In passato gli abbiamo affibbiato tutta una serie di aggettivi: irascibile, matto, degenerato, magnetico, ostinato, bizzarro, prototipo dello statista (parole di Jack Straw), criptico, esotico, strano, pazzo, eccentrico, e poi di recente tiranno, assassino e selvaggio. Ma nella sua acuta e contorta visione dell'universo libico, Gheddafi è convinto di dover sopravvivere e alimentare un conflitto tra la realtà tribale e la civiltà, continuando a logorare i nuovi amici dell'occidente con azioni di guerriglia e intaccare lentamente ma inesorabilmente la credibilità del nuovo potere "di transizione".

Tuttavia la natura imprevedibile della guerra in Libia fa in modo che le parole raramente sopravvivano al giorno in cui sono state scritte. Forse Gheddafi si nasconde in un tunnel nei sotterranei dell'hotel Rixos, o se la spassa in una delle ville di Robert Mugabe. Personalmente ne dubito. Fino a quando nessuno cercherà di combattere la guerra prima di questa. (traduzione di Andrea Sparacino)

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