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Inquinare il Mediterraneo per proteggerne l’aria: la falsa soluzione degli “scrubber” montati sulle navi

Gli "scrubber" sono dispositivi usati sulle navi per ridurre le emissioni di zolfo: vengono promossi come soluzione ecologica ai carburanti tradizionali. Ma, per farlo, rilasciano in mare acqua contaminata. Inchiesta.

Pubblicato il 2 Luglio 2025

Avvicinandosi a Civitavecchia, il mare è visibile già dalla strada statale che la connette con Roma, insieme alle colonne di fumo emesse dalle navi più grandi. Nei giorni più affollati, possono esserci fino a 15 navi da crociera contemporaneamente.

Era marzo inoltrato quando Giovanni Romagnoli*, ingegnere capo a bordo di un rimorchiatore, stava assistendo alla manovra di attracco di un traghetto nelle acque interne del porto. Romagnoli conosce le navi come le sue tasche: per anni ha navigato come marittimo a bordo delle crociere, prima di passare ai rimorchiatori. Sembrava una manovra come tante altre, finché qualcosa non lo ha stranito.

Dal sistema di scarico della nave stava fuoriuscendo una sostanza nera, densa, che si riversava nel mare. Era qualcosa che non aveva mai visto prima e che lo ha portato a decidere di violare le regole del suo lavoro. Non potrebbe, ma decide di tirare fuori comunque il telefono e documentare quello che vede: “Non potremmo fare i video sul posto di lavoro – ricorda – ma ho dovuto riprendere, quella sostanza nera, fuligginosa, che si espandeva nell’acqua del mare dove sono cresciuto. Ho chiamato il comandante della nave, ma mi ha detto che quello schifo era normale”, aggiunge.

Closed- and open-loop scrubber systems. | Source: North Ridge Pumps
Sistemi di scrubbing a circuito chiuso e aperto. | Fonte: North Ridge Pumps

Giovanni è convinto che ciò che ha visto quel giorno fosse acqua di scrubber. Gli air scrubber sono una tecnologia comparabile a un filtro che, quando applicata alle navi, riduce le emissioni inquinanti nell’aria filtrandole con l’acqua marina. Una grande invenzione, considerando le enormi quantità di gas di scarico che i combustibili pesanti delle navi emettono di continuo. Tuttavia, gli scrubber – tecnicamente noti come sistemi di pulizia dei gas di scarico (Egcs) – celano un segreto: le acque reflue derivanti dal loro processo di pulizia vengono scaricate direttamente in mare, una pratica che gli scienziati hanno avvertito avere gravi conseguenze ambientali.

Mentre l’intero Mediterraneo affronta gli effetti crescenti della crisi climatica e la pressione dell’industria turistica, le città costiere devono ora gestire anche questa nuova minaccia per la salute ambientale, una minaccia presentata come soluzione contro l’inquinamento dell’aria.

Storicamente, il traffico marittimo ha portato a livelli sorprendenti di emissioni inquinanti nell’aria, tra cui ossidi di azoto e zolfo (NOx e SOx), rilasciati dalla combustione di olio combustibile un carburante economico molto usato nel settore marittimo. Queste emissioni hanno avuto un impatto diretto sulla salute degli abitanti delle città portuali, causando migliaia di morti premature ogni anno.

A Civitavecchia, i residenti che vivono entro 500 metri dal porto hanno un rischio di mortalità per cancro ai polmoni superiore del 31 per cento e un rischio di mortalità per malattie neurologiche superiore del 51 per cento rispetto alla popolazione non esposta ai fumi delle navi, secondo i dati del Dipartimento di epidemiologia del Servizio sanitario regionale del Lazio.

Gli abitanti convivono con questa situazione da decenni: “Quando ero piccola, non potevo stendere i panni sul balcone perché – dice Simona Ricotti, uattivista di Forum ambientalista, che viveva di fronte al porto della città – tutti i miei vestiti sarebbero diventati neri”.

Scrubber: una minaccia crescente per un mare già inquinato

Sotto pressione per affrontare questa minaccia alla salute pubblica, l’Organizzazione marittima internazionale (Imo) ha iniziato a stabilire regolamenti per ridurre il contenuto massimo di zolfo nei combustibili marini già negli anni ’90. Inizialmente, solo in aree specificamente sensibili, chiamate Aree di controllo delle emissioni di zolfo (Seca), come il Mar Baltico (1997) e il Mare del Nord (2005), fino all’attuazione del limite globale del contenuto di zolfo nei combustibili marini, avvenuta il 1º gennaio 2020. Da quel giorno, la percentuale massima di zolfo consentita nei combustibili marini è dello 0,5 per cento, mentre per le zone Seca il limite è dello 0,1 per cento.

A partire da maggio 2025, anche il Mediterraneo è entrato nel club diventando una zona Seca. In teoria questo obbligherebbe le navi a usare carburanti più puliti, tuttavia, il Comitato per la protezione dell’ambiente marino (Mepc) dell’Imo ha lasciato aperta un’alternativa: l’installazione di un sistema di pulizia dei gas di scarico continuando a usare gli stessi carburanti. A sostenere con forza gli scrubber a Imo è stata soprattutto l’International chamber of shipping (Ics), il rappresentante principale della flotta navale mondiale. 

L’organizzazione si è battuta già dai primi anni 2000 per includere gli scrubber come alternativa ai combustibili più puliti (e più costosi). Oggi, che l’inquinamento del mare causato dagli scrubber stessi comincia a diventare evidente, l’Ics si batte per un principio noto come grandfathering, cioè nonnismo: che le navi che hanno già installato degli scrubber possano continuare a utilizzarli secondo le linee guida in vigore al momento dell’installazione. 

Dall’entrata in vigore del limite globale sul contenuto di zolfo, l’adozione degli scrubber è aumentata esponenzialmente: da meno di 800 navi nel 2018 a oltre 5.000 nel 2025, secondo le stime dell’Icct, raggiungendo circa il 5 per cento della flotta mercantile internazionale. E secondo il report dell’Emsa, l’agenzia europea per la sicurezza marittima raggiunta da IrpiMedia, il 98 per cento degli scarichi in mare proviene da scrubber a “circuito aperto”.

Gli scrubber infatti rientrano in tre categorie diverse: quelli a circuito aperto, i più diffusi, usano acqua di mare per neutralizzare i gas e la scaricano senza trattamento, questi sono quelli che alcuni paesi e porti hanno iniziato a vietare. Quelli a circuito chiuso invece, riciclano l’acqua all’interno del sistema, generano meno acque reflue, ma queste sono talmente cariche di sostanze chimiche che devono essere smaltite in impianti specifici, strutture non sempre disponibili in ogni porto. Il terzo tipo di scrubber è quello “ibrido”, che offre la flessibilità di passare da un sistema all’altro, permettendo alle navi di adattarsi alle normative locali.

Tra le diverse tipologie di navi, quelle da crociera hanno la percentuale più alta di unità equipaggiate con questi sistemi: il 34 per cento di tutta la flotta, secondo l’Icct. Per neutralizzare gli scarichi, gli scrubber utilizzano enormi quantità d’acqua: entro quest’anno si prevede che circa 300 milioni di tonnellate di acque di lavaggio saranno scaricate nei principali porti del mondo. I porti di Barcellona e Civitavecchia sono i più colpiti nel Mediterraneo, con scarichi rispettivamente di 3,7 e 3,5 milioni di tonnellate.

Dove le acque francesi e italiane si incontrano, tra il Golfo di Lione e il Mar Ligure, i livelli di metalli inquinanti provenienti dai volumi stimati di scrubber sono equivalenti a quelli scaricati da uno dei fiumi più inquinati d’Europa, il Rodano, vittima di una forte industrializzazione dell’area. Il dato è ancora più impressionante se si considera che è conteggiato solo considerando gli scarichi degli undici traghetti che operano tra la Francia continentale e la Corsica.


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“Abbiamo quantificato solo una piccola parte di ciò che viene effettivamente scaricato nel Mediterraneo”, osserva Jacek Tronczynski, scienziato dell’Ifremer, l’Istituto nazionale francese per la scienza oceanica. 

Inoltre, poiché il Mediterraneo è un bacino chiuso, tutta l’acqua tossica proveniente dal processo di depurazione non si diluisce facilmente, amplificando i danni dell’inquinamento. 

I rischi ambientali degli scrubber

La decisione dell’Imo di consentire l’uso degli scrubber per rispettare i limiti di zolfo è stata pesantemente criticata da molti scienziati marini e organizzazioni ambientaliste.

Per Carlos Bravo, consulente ambientale dell’ong OceanCare con oltre trent’anni di esperienza in collaborazione con Wwf e Greenpeace, l’Imo “ha commesso un errore permettendo l’uso continuato di combustibili pesanti ad alto contenuto di zolfo con gli scrubber”.

L’esperto, come molti altri, accusa questa tecnologia di essere in contraddizione con l’Articolo 195 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Unclos). Questo articolo della cosiddetta “costituzione degli oceani” stabilisce che, nel prendere misure per controllare l’inquinamento dell’ambiente marino, gli stati devono garantire che tali azioni non trasferiscano danni da un’area all’altra.

Nel 2021, il Comitato per la protezione dell’ambiente marino dell’Imo ha aggiornato le sue linee guida sull’uso dei sistemi di pulizia dei gas di scarico, stabilendo limiti per alcuni parametri del contenuto delle acque reflue scaricate. Tuttavia, queste direttive restano non vincolanti e di natura raccomandatoria.

Oltre agli scarichi di inquinanti in acqua, gli scrubber sono responsabili anche di un aumento di emissioni di CO₂. Gli scrubber per funzionare hanno infatti bisogno di energia, e quindi aumentano il consumo di combustibile. I motori equipaggiati con scrubber emettono il 2 per cento in più di CO₂ rispetto a quelli alimentati con carburante pesante ad alto contenuto di zolfo (Hfo) e il 4 per cento in più rispetto ai motori alimentati da carburanti leggeri più puliti.

Inoltre, il combustibile pesante trattato con scrubber continua a rilasciare il 69 per cento in più di particolato PM2.5 e oltre l’80 per cento in più di carbonio nero rispetto ai combustibili più raffinati, risolvendo quindi in modo molto parziale il problema dell’inquinamento dell’aria. 

I potenziali danni per l’ambiente marino invece sono stati analizzati da  un’importante ricerca a livello europeo, quella di Emerge, un consorzio che ha unito 18 Paesi per analizzare gli impatti marini e atmosferici del trasporto marittimo. Già altri studi scientifici indicano che le acque degli scrubber rilasciano metalli pesanti come zinco, vanadio e ferro e intensificano l’acidificazione delle acque. 

Emerge ha raccolto quindici campioni di effluenti di scrubber da diverse fonti e li ha analizzati chimicamente. Un processo non facile considerando che molte compagnie sono state riluttanti nel dare campioni.

Uno dei principali risultati ha dimostrato che, mentre tutta la normativa vigente (basata sulle linee guida Imo del 2021 e sui criteri della Us Environmental protection agency) si concentra solo su pochi elementi inquinanti—16 tipi di idrocarburi policiclici aromatici e alcuni metalli pesanti—le acque di lavaggio contengono molti altri inquinanti ignorati, ma altrettanto o persino più preoccupanti per l’ambiente, tra cui i Pah alchilati.

“Il nostro studio mostra che gli inquinanti non monitorati contribuiscono per oltre l’85 per cento alla tossicità dei campioni”, sottolinea Mira Petrovic, ricercatrice presso l’Istituto catalano di ricerca e studi avanzati (Icrea), che ha partecipato al consorzio Emerge.

Il consorzio ha anche misurato gli effetti di questi elementi sulla fauna e flora marina, in particolare microalghe, fitoplancton, copepodi e invertebrati. I risultati dimostrano che anche a concentrazioni minime, la capacità di riprodursi degli invertebrati viene drasticamente compromessa.

La natura bioaccumulativa di alcune sostanze, metalli pesanti in particolare, solleva inoltre allarmi sul loro impatto nella catena alimentare, fino al livello del consumo umano. “Quando un pesce grande mangia un pesce più piccolo, i contaminanti si accumulano lungo la catena alimentare.Ecco perché le specie al vertice, come il tonno o il pesce spada, tendono ad avere livelli più elevati di contaminanti e metalli pesanti”, spiega Petrovic.  

La posizione dell’industria

Nonostante queste evidenze, l’industria minimizza gli impatti e mette in dubbio la ricerca scientifica che li documenta.  

“Non esiste assolutamente alcun impatto sulla vita marina”, ha dichiarato Chris Millman, vicepresidente corporate marine technology di Carnival corporation—uno dei principali utilizzatori di questa tecnologia tra le compagnie di crociera— raggiunto da IrpiMedia. “Ma è vero che è leggermente acido, si trova sotto il punto neutro sulla scala del pH”.

Quando confrontati con la ricerca citata, Carnival ha dichiarato di non concordare con gli studi scientifici, sostenendo che “non utilizzano metodi standard e non hanno un protocollo”, e che tali studi “non sono rilevanti poiché non effettuano campionamenti propri”. Quando gli è stato chiesto un commento su questa affermazione, Marco Picone, tra i coordinatori di Emerge, ha risposto: “Tutti i nostri protocolli sono standardizzati secondo Iso e Astm, sono spiegati all’inizio di tutti i nostri articoli, insieme ai criteri di accettabilità e ai materiali”. Inoltre, Picone ha chiarito che l’acqua scaricata usata nei laboratori dell’Università Ca’ Foscari di Venezia proveniva da navi che avevano accettato di condividerla con il team di scienziati.  

Da parte sua, Carnival ha presentato un elenco di pubblicazioni a sostegno della propria posizione, provenienti da enti e organizzazioni che normalmente non sono sottoposti a revisione paritaria (peer review), come invece sono obbligate le pubblicazioni scientifiche. Le associazioni di settore Cruise lines International Association (CLIA), International Chamber of Shipping (ICS) e Exhaust Gas Cleaning System Association (EGCSA) sono state contattate per un commento ma hanno rifiutato di rispondere. 

L’uso degli scrubber ha permesso agli operatori del settore di risparmiare a livello globale circa 18 miliardi di euro, e guadagnare un surplus economico collettivo di 4,7 miliardi di euro già alla fine del 2022. Il risparmio naturalmente, è solo per le aziende marittime. I costi reali, come accade fin troppo spesso, vengono “socializzati”, e li dovranno sostenere i cittadini sotto forma di danni ambientali e alla salute.

Per l’industria e per i produttori di scrubber, si apre invece un nuovo mercato destinato a crescere enormemente. Diverse analisi prevedono che il giro d’affari attorno agli Egcs continuerà a crescere, passando da 3,5 miliardi di dollari nel 2024 a circa 7-8 miliardi di dollari entro il 2032. L’Organizzazione marittima internazionale (Imo), nonostante le pressioni degli scienziati, ancora non ha affrontato a fondo i problemi legati agli scrubber.

Víctor Jiménez Fernández, rappresentante spagnolo presso l’Imo, che ha partecipato all’ultima sessione del sottocomitato sulla prevenzione dell’inquinamento e risposta (Ppr) nel gennaio 2025 ha detto a IrpiMedia che “sembra che la maggioranza sostenga la necessità di stabilire requisiti minimi per regolamentare la qualità delle acque di scarico, ma ci sono ancora opinioni divergenti su come farlo”.

Durante l’ultima sessione, il Ppr ha incaricato il gruppo Gesamp Egcs di valutare criteri per gli scarichi e ha invitato gli Stati membri a proporre regolamenti entro il 2026. Nel frattempo, il Comitato per la protezione dell’ambiente marino (Mepc) dell’Imo ha rinviato ancora una volta la discussione sugli scrubber, rimandando al 2026 la decisione su una proposta che ne sconsiglia l’uso in aree protette. Imo non ha ancora risposto alle domande di IrpiMedia. I divieti locali e la mancanza di restrizioni globali 

In assenza di un approccio unificato sugli scrubber, sia a livello dell’Ue che dell’Imo, i paesi hanno adottato restrizioni individuali.

Nel contesto europeo, esistono divieti o limitazioni sugli scrubber in diciassette Paesi dell’Ue, tra cui Svezia, Danimarca e più recentemente Paesi Bassi. In Francia dal 1º gennaio 2022, l’uso degli scrubber a circuito aperto è vietato in tutte le acque costiere e portuali. Nella fascia costiera francese di tre miglia nautiche (circa 5,5 km o 10–15 minuti di navigazione), gli scrubber devono essere disattivati. Nell’ottobre 2024, il tribunale di Marsiglia ha applicato questa norma, multando due armatori rispettivamente di 50 mila e 60 mila euro per mancato rispetto delle regole.

In Spagna per la fine del 2024, sette porti —tra cui grandi hub come Algeciras, Huelva e Barcellona — avevano già emanato regolamenti locali che limitano l’uso degli scrubber. A Barcellona, è ora vietato l’uso di quelli a ciclo aperto all’interno dei limiti portuali. Le navi che non rispettano questa nuova ordinanza saranno soggette a sanzioni.

Javier Romo, responsabile ambientale dell’Autorità portuale di Barcellona ha proposto e ottenuto di bandire almeno gli scrubber a circuito aperto dal porto, un risultato importante, seppur parziale, che potrebbe portare risultati ancora più rilevanti.

“Anche se non siamo ancora coinvolti nelle discussioni a livello nazionale, sappiamo che i nostri dati hanno contribuito al dibattito”, afferma, riferendosi a una bozza di regolamento spagnolo in fase di sviluppo. Infatti, nel maggio 2024, la Segreteria generale per il trasporto aereo e marittimo (Dg marina mercante) ha pubblicato una bozza di decreto reale che imporrebbe un divieto a livello nazionale. Sebbene i promotori sperassero nella sua approvazione nella prima metà del 2025, la bozza è attualmente in fase di stallo.

Purtroppo però restano paesi che non pongono regole. 

In Italia, le navi possono scaricare le acque reflue degli scrubber ovunque, persino all’interno delle aree portuali. L’unica normativa a livello nazionale è la Direttiva ministeriale n. 132/2917 sulla sicurezza della navigazione, emanata dal ministero dei Trasporti. Questa stabilisce che la divisione sicurezza della Guardia costiera monitori gli scarichi degli scrubber basandosi su parametri come pH, pHA e torbidità, ma non su inquinanti come i metalli pesanti.

Questi controlli avvengono al momento dell’installazione degli scrubber e ogni cinque anni.

“Noi seguiamo gli standard internazionali, e questo è ciò che attualmente prescrivono”, spiega Andrea Urciuoli, maresciallo della Guardia costiera di Civitavecchia. Sotto l’Annesso V di Marpol, le navi possono generalmente scaricare rifiuti, come i rifiuti alimentari triturati, oltre sei miglia dalla costa (circa 10 km), ma non esiste una regola specifica sugli scarichi degli scrubber a circuito aperto. “Abbiamo consultato il ministero dell’Ambiente, che ne ha approvato l’uso”, aggiunge. Per questa ragione, l’Ong Cittadini per l’aria ha inviato al ministero dell’Ambiente già da dicembre 2024 una lettera firmata da oltre 20 gruppi di scienziati e attivisti per chiederne il divieto.

In mancanza di una regolamentazione, gli scarichi si verificano anche nelle zone adiacenti ai centri abitati. Giovanni Romagnoli, dopo averli visti sul posto di lavoro dal rimorchiatore, li ha riconosciuti anche nell’acqua della spiaggia che frequenta in estate: “Quando ho notato quella sostanza nera intorno a noi, ho avuto un momento di panico. Il mio istinto immediato è stato far uscire tutti dall’acqua il più velocemente possibile”.

Mentre la macchia nera si espandeva, racconta, in lontananza una nave da crociera Virgin decorava il mare piatto del litorale romano.

“Mi sento preso in giro”, afferma Romagnoli. “Capisco l’innovazione, la tecnologia e il progresso. Ma se si usano gli scrubber, bisognerebbe essere obbligati a fornire certificazioni: quanti rifiuti generano? Quali sono i rischi? Non si trovano risposte reali da nessuna parte”.

* Nome di fantasia

Testo italiano di IrpiMedia
Questo articolo è sostenuto da Journalismfund Europe e dalla Earth Journalism Network ed è pubblicato in collaborazione con

Irpi.media, Climatica e Reporterre

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