Il Servizio europeo di azione esterna, introdotto dal Trattato di Lisbona per supplire all'annoso problema della mancanza di una struttura diplomatica europea capace di gestire in modo univoco la politica estera dell'Unione, dovrebbe vedere la luce all'inizio dell'autunno. Ma prima ancora di poter valutare il suo funzionamento, i suoi enormi costi (3 miliardi di euro per settemila dipendenti e 136 rappresentanze) e il rischio di conflitti tra stati membri e istituzioni europee per assicurarsene il controllo suscitano i dubbi di parecchi osservatori.
Tra questi c'è l'ex ambasciatore italiano a Londra e Washington Boris Biancheri, che su La Stampa si chiede se sia "davvero indispensabile mettere in moto un grande strumento prima che ne sia chiaramente visibile il ruolo e la funzione". La congiuntura economica e i problemi sorti dopo l'ultima fase di allargamento hanno già appesantito abbastanza il funzionamento dell'Unione: se il Servizio si rivelerà troppo complesso da gestire, è difficile ipotizzare una riforma in tempi brevi.
"La macchina comunitaria non è stata immune in passato da gigantismi burocratici sui quali poi si scontrano il prestigio e le ambizioni nazionali [...]. Sarebbe un errore se la prima creatura nata dal Trattato di Lisbona fosse non l’embrione di una reale, efficace e svelta azione esterna comune ma solo una pesante macchina amministrativa frutto di intese sottobanco e in cerca di una propria identità."