La nascita dell’Europa politica

Un governo europeo a destra, un'opposizione europea a sinistra: la crisi economica sta finalmente stimolando la creazione di un sistema democratico su scala continentale.

Pubblicato il 9 Marzo 2011 alle 16:11

L’Unione europa ha deluso i suoi cittadini così stante volte che spesso finisce col passare inosservata. Ma le si farebbe torto a descriverla come la mera sopravvivenza burocratica di un’ambizione perduta. Ancora vacillante per il disastro finanziario del 2008 e i fallimenti di Grecia e Irlanda, l’Unione è stata costretta ad affrontare una crisi dopo l'altra e lo ha fatto così bene da avviare la sua prima fase da Europa politica.

Alla vigilia del Consiglio europeo che venerdì prossimo esaminerà le proposta franco-tedesca di patto economico, la destra e la sinistra europee si sono date appuntamento nel weekend scorso, a Helsinki la prima e ad Atene la seconda, per discutere dell'accordo in questione, definito indispensabile da Nicolas Sarkozy e illustrato da Angela Merkel nei contenuti. Il Partito popolare europeo (Ppe) non ne ha detto molto, in quanto non poteva contraddire i sui due massimi esponenti.

Invece il Partito socialista europeo (Pse) non soltanto ha criticato violentemente un testo ispirato “dalla volontà di istituzionalizzare l’austerity e fiaccare i nostri modelli sociali e i nostri sistemi di welfare”, ma ha anche formulato alcune contro-proposte “socialmente responsabili ed economicamente attendibili”.

Il Pse auspica lo sviluppo di una “politica industriale europea” in grado di creare posti di lavoro tramite investimenti futuri; l’adozione di norme sociali comuni e, nello specifico, di un reddito minimo in ogni paese; standard ambientali più rigorosi e la creazione di una tassa sulle transazioni finanziarie pari allo 0,05 per cento che “genererebbe 200 miliardi di introiti all'anno”; l’emissione di eurobond, prestiti europei destinati a finanziare progetti transfrontalieri e a gestire una parte dei debiti pubblici; e auspica infine che siano rinegoziati gli aiuti finanziari agli stati membri in difficoltà per abbassare i tassi di interesse loro imposti e prorogare le scadenze dei rimborsi.

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Le proposte keynesiane dei socialdemocratici europei, nella più pura tradizione della sinistra riformista, mirano a migliorare la crescita e a riequilibrare i conti pubblici tramite un aumento del potere d’acquisto e la creazione di posti di lavoro, e a promuovere la coesione sociale ed economica tra gli stati dell’Unione europea e lo sviluppo industriale tramite investimenti pubblici.

Si tratta del primo vero esempio di un programma paneuropeo delle sinistre continentali, la cui adozione è stata consentita dal passo indietro delle correnti social-liberali del Pse screditate dal tracollo di Wall Street e dal grande ritorno del principio di regolamentazione politica dei mercati. Dalla Scandinavia alla Germania, passando per la Gran Bretagna, i partiti socialdemocratici si stanno riavvicinando ai loro principi fondamentali, mentre le destre europee, a Berlino come a Parigi, moderano il loro liberalismo.

Il paradosso federalista

In Europa il clima politico inizia a cambiare, e – ciò che è più importante – l’idea di politiche economiche comuni da tre anni a questa parte si sta imponendo sempre più chiaramente nell’Unione, con l’accettazione da parte dei Ventisette del principio di una “governance economica comune”, la perpetuazione del fondo di solidarietà finanziaria creato per il bailout della Grecia, e adesso – naturale conseguenza di questa evoluzione – l’idea del patto franco-tedesco al quale le sinistre contrappongono il loro patto alternativo.

Pur sempre con mezzi termini, l’Unione si avvia a diventare una democrazia in cui una maggioranza (attualmente di destra) formula una politica paneuropea che l’opposizione europea contesta presentando le proprie controproposte. Benché ancora incerta e fragile, questa metamorfosi è ormai avviata, e colpisce tanto più se si tiene conto che è nata dalla necessità e dunque è più solida di una semplice espressione di decisionismo; che paradossalmente l’indebolimento delle istituzioni comunitarie a beneficio dei grandi stati porta a evoluzioni di natura federale; e che le sinistre tedesca e francese, sempre più vicine dopo essere state così divergenti, hanno ottime chance di ritornare al potere nel 2012 e nel 2013.

Lontano dai riflettori, l’Unione si rimette in moto e, mentre già si svolgono riunioni congiunte tra i governi tedesco e francese, il Ps francese e l'Spd tedesca hanno appena confermato ad Atene che le loro dirigenze da ora in avanti lavoreranno in sessioni comuni. A fronte di quello che dovrebbe essere il governo d’Europa, si sta delineando un governo ombra, un'opposizione europea. (traduzione di Anna Bissanti).

Finanza

Gli eurodeputati vogliono la tassa sulle transazioni

Con 529 voti a favore e 127 contrari, l'8marzo "i deputati europei hanno espresso un forte sostegno all'introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie in Europa", riferisce il Financial Times. Il quotidiano economico londinese ricorda però che il voto di Strasburgo non è vincolante, e che la Commissione, a cui di recente il Parlamento ha proposto le misure legislative necessarie a creare la tassa, ha dichiarato che l'idea è ancora "prematura". A ogni modo, entro l'estate i responsabili della Commissione dovranno "presentare le loro conclusioni sulle diverse opzioni di tassazione del settore finanziario. Tra le possibilità sono allo studio una tassa sulle attività finanziarie e una sulle transazioni".

Sul fronte degli stati membri, spiega Le Monde, "la Germania e l'Austria sostengono da molto tempo il progetto di una simile tassa, ma altri paesi europei temono che se venisse applicata solo a livello dell'eurozona potrebbe provocare una fuga di capitali". La Francia, cui tocca la presidenza del G20, pensa di proporre la tassa su scala globale in occasione del prossimo summit del gruppo.

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