L’austerity taglia la libertà di stampa

L’Ue denuncia regolarmente gli abusi del governo ungherese, ma chiude un occhio sulle intimidazioni di Atene ai giornalisti. Forse perché sa di esserne in parte responsabile.

Pubblicato il 6 Novembre 2012 alle 12:28

Quando quei burloni scandinavi hanno assegnato il premio Nobel per la pace all’Unione europea hanno messo tutti al corrente della motivazione del loro scherzo, elogiandone l’impegno nei confronti della “riconciliazione, la democrazia, e i diritti umani”. Se la menzione 2012 del comitato fosse qualcosa di diverso da una presa in giro, avreste letto già da tempo le denunce di preoccupati commissari europei per l’ascesa in Grecia dell’oppressivo potere statale e del neonazismo.

L’Ue denuncia energicamente le limitazioni alla libertà di espressione nell’Ungheria di Viktor Orbán. I politici europei nutrono a buon motivo timori sul destino delle istituzioni indipendenti che intralciano il cammino del regime. Prendono nota della componente fascista presente nei rapporti della nuova destra ungherese con i movimenti che predicano l’odio contro ebrei e rom, e delle fantasie revansciste di un’Ungheria che riconquista le terre perdute dopo la prima guerra mondiale. Sul destino della democrazia in Grecia, invece, domina il silenzio, benché vi sia molto di cui i leader europei potrebbero parlare.

Si possono comprendere i punti di pressione di uno stato in procinto di fallire osservando ciò che esso censura. Nel caso specifico della Grecia, il processo intentato la settimana scorsa dalle autorità a Kostas Vaxevanis ha dimostrato che l’accusato aveva colpito un punto sensibile con l’accuratezza di un medico che infila un ago in un nervo. Mentre i greci vivono un’austerità senza fine e il pil si è contratto (del 4,5 per cento nel 2010, del 6,9 nel 2011, e quest’anno le previsioni parlano di un 6,5 per cento e di un ulteriore 4,5 per cento nel 2013), l’elenco di duemila nomi di cittadini greci titolari di conti bancari in Svizzera pubblicato da Vaxevanis lascia intuire che chi aveva i contatti giusti ha fatto il possibile per sottrarsi alle responsabilità che sono ricadute sulle masse.

Il suo proscioglimento dall’accusa di aver violato la legge sulla privacy, per quanto accolto positivamente, è stato meno importante di quel che sembra: non ha voluto dire, infatti, che in Grecia la libertà di stampa è tutelata. Perfino ai bei tempi il giornalismo indipendente è stato raramente una forza nel paese. La maggior parte delle emittenti televisive e dei quotidiani greci è di proprietà statale o di corporation plutocratiche, e a nessuno di loro piace veder spiattellati i casi di corruzione.

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Pochi impiegati degli organi di stampa greci rimasti rifiutano l’obbligo di starsene zitti se intendono continuare a ricevere lo stipendio. Lo stato perseguita già troppi di coloro che lo fanno. “Quanto meno a livello teorico, godiamo ancora della libertà di espressione riconosciuta dalla legge”, dice Asteris Masouras, uno dei supervisori della libertà di parola presso Global Voices. “Ma a livello pratico, invece” - e inizia a riferirmi una serie di casi nei quali i giornalisti sono stati intimiditi.

Da dove iniziare? Che dire delle controproducenti politiche di austerity che la troika - formata da Banca centrale europea, Commissione europea e Fondo monetario internazionale - hanno imposto con la forza alla Grecia? Le autorità hanno fatto ricorso a un vecchio mandato di arresto per rinchiudere Spiros Karatzaferis il 31 ottobre, dopo che il giornalista aveva minacciato di rivelare il contenuto di alcune email riservate che avrebbero potuto spiegare i motivi per i quali il presunto “pacchetto di misure per il bailout” della troika ha spinto il paese nella depressione.

Altro punto di pressione, indubbiamente, è la brutalità della polizia. La sinistra greca fa continue accuse non circostanziate da prove in merito alla connivenza tra presunte forze dell’ordine e delinquenti del movimento neonazista Alba dorata. Il Guardian ha rivelato che la polizia aveva picchiato i dimostranti antifascisti che avevano affrontato gli esponenti di Alba dorata. Il giorno seguente, l’emittente televisiva statale greca ha rimpiazzato i presentatori del notiziario del mattino, Kostas Arvanitis e Marilena Katsimi, perché questi avevano riferito ai loro superiori di voler dar seguito alle dichiarazioni del Guardian.

Un altro reporter di una tv statale, Christos Dantis, è entrato nel club dei giornalisti rimossi: la direzione lo aveva incaricato di occuparsi dei festeggiamenti per il centenario della liberazione di Salonicco dal dominio ottomano. Ma quando stava per parlare delle proteste popolari contro la presenza del primo ministro e del presidente greco nella seconda città più importante del paese, i suoi superiori hanno spento le cineprese e lo hanno sostituito con un collega più bendisposto.

Scandalosa Downton Abbey

Una cosa è certa: le vecchie alleanze tra movimenti politici e religiosi estremi si sono riannodate. Di conseguenza il mese scorso i fanatici cristiani e i neonazisti (la differenza tra i due gruppi è labile) hanno protestato contro una commedia “blasfema” a tema omosessuale andata in scena ad Atene. La direzione del teatro l’ha subito tolta dai cartelloni. La televisione greca dal canto suo ha tagliato una scena di Downton Abbey nella quale due gay si baciavano. Nessuno sa spiegarne il motivo, ma un paese che censura Downton Abbey per una ragione che non abbia a che vedere con il buongusto letterario è in seri guai.

Gli euroscettici britannici non capiscono che l’Unione europea una volta offriva ai popoli europei una via di fuga verso un futuro liberal. Quando ho visitato Atene all’inizio degli anni ottanta, i vecchi ricordavano di aver lottato contro l’occupazione nazista e i giovani erano cresciuti combattendo la dittatura militare dei colonnelli. Entrare nell’Unione europea ha significato dire addio a tutto ciò. Adesso, invece, sono tornate povertà, paura, repressione e intimidazione dai poteri forti dello stato.

Di ciò si può dare la colpa alla corruzione, che la società greca ha tollerato. Si può darla ai banchieri per aver provocato il tracollo finanziario. Ma una buona fetta di colpa si deve dare anche ai politici e ai burocrati europei che hanno accettato la Grecia (e il resto dell’Europa del sud) nell’area della moneta unica, mettendoli in una situazione di svantaggio permanente a livello di competitività e rifiutandosi di cancellare debiti che i greci non saranno mai in grado di ripagare.

Non stupisce che oggi restino in silenzio nei riguardi delle violazioni dei diritti umani, che secondo il comitato del Nobel sarebbero garantiti dall’integrazione europea. La Grecia è la Weimar sull’Egeo degli eurocrati. Sono loro ad aver contribuito a crearla.

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