Anche se gli esperti continuano a mettere in guardia contro il pericolo di una recessione a settembre, per ora è “il surplus delle esportazioni tedesche che preoccupa l’Ocse”, titola Der Standard. Quest’anno l’organizzazione prevede che il valore delle esportazioni tedesche supererà di 200 miliardi di euro - ovvero il 6 per cento del pil - quello delle importazioni, un risultato superiore a quello della Cina o del Giappone. Il problema è che Berlino in questo modo contribuisce agli squilibri economici nel vecchio continente, e secondo il Financial Times Deutschland potrebbe subire il rimprovero della Commissione europea.
A febbraio Bruxelles aveva nuovamente coperto i “peccati” tedeschi alzando il livello d’allerta per l’eccedenza della bilancia commerciale al 6 per cento del pil, ma stavolta le cose dovrebbero cambiare. Secondo il Ftd, l’Ue raccomanderà alla Germania di investire nel settore dei servizi per rilanciare i consumi e ridurre così lo scarto con le esportazioni.
Stanca di vedere l’economia tedesca bersagliata dalle critiche, la Frankfurter Allgemeine Zeitung rifiuta il dibattito sui “cosiddetti squilibri”, dove “il surplus e il deficit vengono trattati come problemi paragonabili”.
Se i paesi generano permanentemente deficit commerciali e accumulano debito all’estero, la situazione non è certo migliore. È in questo modo che la periferia dell’eurozona si è comportata durante la crisi. Il suo deficit commerciale rappresenta la sua mancanza di competitività. Il surplus tedesco, di contro, riflette la forza e la struttura della nostra economia, che produce beni di cui altri hanno bisogno. E questo non è preoccupante.
Perché gli eco-investitori si ritrovano a finanziare le “Big Oil”? A quali stratagemmi ricorre la finanza per raggiungere questo obiettivo? Come possono proteggersi i cittadini? Quale ruolo può svolgere la stampa? Ne abbiamo discusso con i nostri esperti Stefano Valentino e Giorgio Michalopoulos, che per Voxeurop analizzano i retroscena della finanza verde.
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