L'Airbus A400M, aereo da trasporto militare frutto di un progetto congiunto europeo

L’unione fa il risparmio

Paralizzata da un groviglio di interessi nazionali, la cooperazione militare europea è ancora insufficiente. Ma la crisi economica e i tagli costringono a cercare sinergie e condividere risorse. 

Pubblicato il 12 Agosto 2010 alle 15:06
L'Airbus A400M, aereo da trasporto militare frutto di un progetto congiunto europeo

L'ondata di austerity in Europa si abbatterà duramente sulla difesa. In queste settimane la Germania sta prendendo in esame un taglio alla spesa militare di 10 miliardi di euro in quattro anni e l'eliminazione della coscrizione obbligatoria. La Francia vuole risparmiare tre miliardi e mezzo entro il 2013. La Gran Bretagna deve ancora definire i particolari del taglio, che si annuncia comunque doloroso e che gli analisti prevedono vicino al 10 per cento del bilancio. La nota dominante è la stessa in tutto il continente: i tagli alla difesa sono un'opzione per il risparmio socialmente molto meno esplosiva di altre.

Obbligati a chiudere i rubinetti, i principali governi europei stanno cominciando a esplorare nuove forme di cooperazione per massimizzare le risorse e mantenere intatta la capacità di azione delle forze armate. Francia e Germania hanno appena formato un gruppo di lavoro con l'obiettivo di "studiare quali risorse possono essere condivise per realizzare economie di scala e risparmiare sul bilancio", come ha dichiarato a luglio il ministro della difesa francese Hervé Morin. Un'altra commissione bilaterale è stata istituita da Parigi e Londra. Dopo anni di immobilità, qualcosa sembra finalmente cominciare a muoversi.

"Le reticenze non sono sparite da un giorno all'altro, ma credo che la situazione attuale renderà possibili alcuni cambiamenti a medio termine, nel giro di qualche anno", dichiara Nick Witney, ex direttore dell'Agenzia europea della difesa. I governi vogliono evitare lo spreco di denaro per inutili doppioni di equipaggiamento e infrastrutture, ma restano ansiosi di mantenere il pieno controllo sulle forze di prima linea. Anche così, però, restano ampi margini di cooperazione per quanto riguarda la riserva.

"La considerazione generale è che più ci si avvicina al fronte e più si complicano le cose. Personalmente, per esempio, sono scettico a proposito della formazione di unità multinazionali", sintetizza Witney. "Senza dubbio esistono campi in cui la cooperazione è politicamente accettabile, per esempio nel settore della ricerca e sviluppo o nelle infrastrutture di difesa", prosegue l'analista. "Non c'è nessun motivo per cui ogni paese debba avere una sua propria struttura per il mantenimento e la riparazione di equipaggiamenti uguali tra loro. Lo stesso vale per il settore di sperimentazione di armi, munizioni, esplosivi, per le gallerie del vento e i cantieri navali".

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Ottimizzare o restare indietro

Alcuni accordi bilaterali potrebbero spingersi ancora più avanti. "Tra Francia e Gran Bretagna, per esempio, esiste un margine di cooperazione più ampio", sostiene Witney. "I conservatori al potere a Londra sono molto scettici sulla politica di difesa dell'Unione europea, e preferiscono impiegare le risorse nella Nato. Tuttavia anche loro sono pronti a stringere accordi con la Francia, paese che considerano disposto a pagare e combattere".

Se condividere aerei da combattimento è impensabile, non si può dire lo stesso delle infrastrutture, dei centri di sviluppo, manutenzione e addestramento e anche dei veicoli da trasporto. "Diversi studi dimostrano che è possibile risparmiare attraverso la cooperazione. In passato alcuni progetti hanno dato risultati, ma il progresso è stato troppo lento", osserva Elisabeth Sköns, direttrice del dipartimento per la spesa militare dell'Istituto internazionale di ricerca sulla pace di Stoccolma. "La lentezza è dovuta soprattutto alla protezione delle basi militari industriali e tecnologiche nazionali, oltre che alle divergenze in materia di politica di difesa. Si tratta di problemi ancora attuali, ma che adesso sono attenuati dall'armonizzazione in atto nell'Unione europea", prosegue Sköns.

La corsa al risparmio è cominciata, e l'Europa deve decidere se ottimizzare risorse in diminuzione. Francia, Gran Bretagna, Germania, Italia e Spagna – le cinque principali potenze europee, il cui pil complessivo è appena inferiore a quello degli Stati Uniti – nel 2009 hanno investito 165 milirdi di euro per la spesa militare, un terzo della cifra stanziata da Washington. Gli investimenti della Cina sono cresciuti del 217 per cento nell'ultimo decennio, e quelli dell'India del 67 per cento. I cinque grandi d'Europa hanno raggiunto in media appena il 10 per cento. (traduzione di Andrea Sparacino)

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