Analisi Patto europeo su migrazione e asilo | 4

Visti per l’Ue: un affare per le compagnie private, una corsa a ostacoli per chi prova a ottenerli

Nella sua politica dei visti l'Unione europea ha sviluppato due priorità discutibili: il rapporto con le riammissioni e il ricorso a fornitori esterni di servizi. E tutto ciò a scapito delle persone che desiderano venire legalmente in Europa. Quarta e ultima parte della nostra serie dedicata ai possibili effetti del Patto europeo sulla migrazione e l'asilo.

Pubblicato il 31 Dicembre 2020 alle 10:00

Senza sorprese il Patto europeo sulla migrazione e l'asilo presentato il 23 settembre dalla Commissione europea ha riaffermato la necessità di utilizzare la politica dei visti per spingere i paesi terzi a cooperare in materia di riammissione. Inaugurato alla fine degli anni Novanta, questo approccio è ormai radicato nella legislazione europea, in particolare dopo la riforma del Codice dei visti del 2019.

Tuttavia una recente analisi del German Institute for International and Security Affairs sottolinea che "non esiste alcuna prova dell'effetto leva" di una politica dei visti più o meno restrittiva. In questo senso l'unico esempio è rappresentato dai paesi dei Balcani occidentali, che possono però essere considerati un'eccezione per via della loro vicinanza all'Ue e della speranza di potervi aderire.

I governi dei paesi terzi sembrano quindi rimanere indifferenti alle strategie europee legate ai visti, mentre sono i loro cittadini a subirne le conseguenze. Cercando di recarsi legalmente in un paese nell'Ue per ragioni professionali, turistiche o per altri motivi, queste persone si trovano infatti confrontate a un sistema complesso, opaco e sempre più criticato.

Richieste di visti subappaltate

Nel corso degli ultimi 15 anni tutti gli Stati membri tranne la Romania hanno progressivamente delegato la gestione delle richieste di visto a compagnie private, soprattutto la VFSGlobal (filiale del gruppo Kuoni, rilevata nel 2016 dal fondo di investimento privato svedese EQT) e la TLSContact (filiale del gruppo francese Teleperformance). Ma la partecipazione di imprese private nella gestione delle domande di visto genera numerose situazioni problematiche: il costo dei servizi offerti dai loro centri (chiamate telefoniche, richieste di appuntamenti, fotocopie, ecc.) è altissimo; le informazioni date sulle procedure possono essere contraddittorie e imprecise; talvolta delle domande perfettamente in regola non sono accettate e i tentativi di truffa sono frequenti.

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Forum e social network sono pieni di lamentele, e le testimonianze che abbiamo raccolto vanno tutte nella stessa direzione. Cristel ha faticato diversi mesi perché  il suo compagno Elias potesse lasciare il Togo e raggiungerla in Belgio, dove aveva partorito,sola, la loro figlia. "Il centro VFS gli aveva detto che doveva passare un esame medico. Elias ha chiamato l'unica clinica autorizzata in Togo e i test costavano 200 euro. Una volta in clinica, gli hanno detto che doveva pagare 400 euro". Non solo il costo reale di questi test è di 50 euro, ma il certificato non era neanche necessario nel quadro di un ricongiungimento familiare con una persona di nazionalità belga. "Sia nel percorso migratorio legale che in quello illegale, le persone rischiano di essere truffate perché si sa che sono disposte a investire del denaro in questo progetto", osserva Cristel.

“Non esiste alcuna prova dell’effetto leva” di una politica dei visti più o meno restrittiva.

Il marito di Fatma, dopo il loro matrimonio in Algeria, ha avuto meno difficoltà a presentare una richiesta di visto per il Belgio, dove aveva fatto i suoi studi superiori. "Ma siamo stati aiutati nella preparazione della nostra domanda", precisa Fatma, " e poi, come dice mio marito, era ‘presentabile’ quando è andato al centro TLSContact di Algeri". "Fare una domanda di visto prende tantissimo tempo", spiega Cristel. "Bisogna sapere come funziona il sistema, avere una rete di persone che ti appoggia, da soli è praticamente impossibile". Le due donne si sono rivolte a un collettivo belga, Amoureux, vos Papiers!, che le ha sostenute nella loro richiesta.

"Finora tutti i rapporti sull’attuazione della politica dei visti rivelano dei problemi pratici legati ai fornitori esterni di servizi ", conferma l'eurodeputato spagnolo Juan Fernando López Aguilar, membro del Gruppo dell'Alleanza progressista dei socialisti e dei democratici e relatore per la riforma del Codice dei visti. "Il Parlamento europeo è contrario all'utilizzo di questi fornitori, come è per lo più contrario al legame fra politica dei visti e riammissione. Ma abbiamo dovuto fare dei compromessi. Abbiamo indicato chiaramente nel Codice dei visti che gli Stati membri sono pienamente responsabili del rispetto delle norme da parte dei fornitori. Abbiamo introdotto delle condizioni molto rigide in materia di appalti pubblici, di protezione dei dati, di rispetto dei diritti fondamentali e di controlli".

Il regolamento del giugno 2019 di modifica dei codici dei visti prevede che: "Entro il 1° febbraio di ogni anno gli Stati membri riferiscono alla Commissione in merito alla loro cooperazione con i fornitori esterni di servizi in tutto il mondo e al monitoraggio dei medesimi". La prima scadenza arriverà il 1° febbraio 2021, poiché il Codice dei visti è entrato in vigore nel febbraio 2020. Interpellata nel quadro di questo articolo, la Commissione ha fatto sapere che ancora nessun rapporto le era stato sottoposto. Sarà interessante vedere quali Stati membri presenteranno questo documento entro il 1° febbraio 2021 e quali conclusioni se ne potranno tirare. 

Il Patto sulla migrazione e l'asilo non contiene alcuna proposta legislativa su questi fornitori, ma presenta un'iniziativa per una "digitalizzazione completa della procedura dei visti entro il 2025 con un visto digitale e la possibilità di presentare le domande online". Riducendo "in modo significativo" il ruolo dei fornitori esterni di servizi, l'iniziativa permetterebbe secondo la Commissione di ridurre i costi della procedura per chi chiede un visto e di assicurare una migliore protezione dei dati personali. Inoltre eviterebbe delle situazioni come quella in cui si è trovato Elias. Come ogni cittadino togolese che vuole recarsi in Belgio, ha dovuto presentare la sua domanda di visto in Nigeria attraverso il centro VFS di Lagos. Così a novembre, malgrado la chiusura delle frontiere fra il Togo, il Benin e la Nigeria, "ha pagato 1.400 euro per attraversare clandestinamente le due frontiere, perché non era possibileinviarela richiestaper mail", denuncia Cristel.

Chiedere un visto è un diritto. Chiunque dovrebbe poterlo fare senza difficoltà e pretendere un trattamento della domanda corretto, obiettivo e armonizzato a livello europeo. Vedremo se il Patto riuscirà a fare un passo in questo senso.

Se la proposta della Commissione dovesse prendere forma, è lecito aspettarsi un'intensa attività di lobbying da parte delle compagnie minacciate di perdere un mercato così redditizio. Stranamente TLSContact è iscritta nel Registro di trasparenza della Commissione e del Parlamento europeo solo dal 2019, mentre VFSGlobal non vi figura (ma questa situazione potrebbe cambiare dopo il recente accordo interistituzionale che rende obbligatorio il registro di trasparenza).

Di fatto gli Stati membri, inserendo le compagnie private fra le loro amministrazioni e chi chiede un visto, hanno duplicato il filtro, spesso arbitrario, attraverso il quale passano queste domande, ossessionati dall’obiettivo della "lotta contro l'immigrazione irregolare". Da questo punto di vista la storia di Henri è esemplare. Nel 2019 questo togolese è stato invitato da un'ong francese nel quadro di una missione di volontariato di due mesi. Nel 2017 aveva già ottenuto un visto per recarsi in Belgio per lo stesso motivo. "Avevo potuto fare la domanda direttamente in ambasciata", si ricorda Henri, "e parlare con persone competenti".

Nel 2019 invece è dovuto passare per un centro gestito da Capago, una società francese fondata nel 2010. "Il trattamento della domanda è stato più rapido, ma la risposta è stata negativa ed è stato impossibile parlare con qualcuno per avere maggiori informazioni". Il motivo del rifiutoera: "La sua intenzione di lasciare il territorio degli Stati membri prima della scadenza del visto non può essere stabilita con certezza". Tuttavia, si stupisce Henri, "nel 2017 non avevo un lavoro fisso e non ero ancora sposato. Nel 2019 la mia richiesta aveva basi più solide eppure non ho avuto il visto".

Chiedere un visto è un diritto. Chiunque dovrebbe poterlo fare senza difficoltà e pretendere un trattamento della domanda corretto, obiettivo e armonizzato a livello europeo. Vedremo se il Patto riuscirà a fare un passo in questo senso.

👉 Gli altri articoli della serie sul Patto europeo immigrazione e asilo.

👉 Leggi la nostra serie sui Dreamers d’Europa”, giovani senza documenti, visto e nazionalità in diversi Paesi membri ai tempi del Coronavirus, realizzata con Lighthouse Reports e il Guardian.

In associazione con la Fondazione Heinrich Böll – Parigi


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