Attualità La stampa in Europa (5/5)
La sala stampa del Consiglio dell'Ue, a Bruxelles, durante il vertice del dicembre 2008

Nella bolla di Bruxelles

Nonostante le ristrettezze economiche, per i corrispondenti dalla capitale dell’Ue non è difficile trovare materiale per i loro pezzi. Il problema semmai è un eccesso d’informazione che rischia di deformare la realtà.

Pubblicato il 29 Dicembre 2012 alle 08:51
La sala stampa del Consiglio dell'Ue, a Bruxelles, durante il vertice del dicembre 2008

Ogni giorno, negli ultimi due mesi, ho piazzato il mio computer portatile nell'area riservata alla stampa della Commissione europea, letteralmente a pochi passi dalla sala per le conferenze stampa. Ogni volta mi ritrovo circondato da un esercito multinazionale (e multilingue) di giornalisti precari che approfittano del wifi gratuito e di quello che ha tutta l'aria di essere un caffè regalato (come è possibile che costi 90 centesimi a tazza?). I corrispondenti con la C maiuscola, che lavorano per i pezzi grossi della stampa, sono riuniti dietro l'angolo all'International press centre ospitato nel Résidence palace. Noi freelance invece siamo ammassati in una stanza affollatissima.

Dato che sono l'unico australiano in giro e non ho affinità con gli altri anglofoni, sono stato adottato da un gruppo di italiani. Mi hanno subito informato che i miei diritti umani vengono calpestati ogni volta che mangio al ristorante della Commissione (quello del Consiglio europeo dall'altro lato della strada è molto meglio). Gli italiani sono un battaglione molto interessante: sono intelligenti, eloquenti, parlano un buon inglese e sono quasi tutti sulla trentina. Uno di loro si è creato una nicchia gestendo una piccola agenzia di stampa e una rivista di aviazione; un altro ha trovato un impiego nell'ufficio di Bruxelles di un canale via cavo italiano; un altro ancora gestisce una newsletter sull'agricoltura. Passano tutti da un contratto all'altro, a volte da un lavoro all'altro, e sono sempre alla ricerca di un incarico retribuito.

Mi hanno presentato al decano del corpo dei giornalisti italiani a Bruxelles: un distinto gentiluomo il cui biglietto da visita sembra una tautologia: collaboratore fisso. Mi hanno raccontato che il suo giornale non vuole pagarlo come corrispondente da Bruxelles, ma ha accettato di comprargli un certo numero di articoli a settimana e pagargli una sorta di onorario. Non è l'unico: di recente il secondo quotidiano italiano, La Repubblica, ha sostituito il suo corrispondente da Bruxelles in pensione con… la stessa persona: gli hanno detto che poteva tenersi l'incarico ma in qualità di collaboratore occasionale con contratto esclusivo. Oggi l'ufficio di Bruxelles del quotidiano romano è composto da un ex corrispondente che incrementa la pensione svolgendo lo stesso lavoro che faceva prima.

Insomma, capirete, non è certo la vita eccitante che qualcuno potrebbe associare al giornalismo nella più importante città d'Europa. Un giorno mi è capitato di intercettare un giornalista che chiedeva al telefono informazioni sul pranzo servito (gratis) alla conferenza che avrebbe dovuto seguire. “Quando dici sandwich, di che tipo di sandwich parli?”. Poco dopo mi sono ritrovato vicino a un cronista impegnato in un braccio di ferro con il suo giornale, che lo voleva a un incontro annuale in patria ma non intendeva pagare il biglietto aereo. Il capufficio alla fine ha ceduto, ma il giornalista è stato obbligato prendere un volo Ryanair da Charleroi (la città che odiano un po' tutti, a un'ora di macchina a sud di Bruxelles). Il giornalista ha passato il resto della giornata a brontolare.

Il meglio del giornalismo europeo, ogni giovedì, nella tua casella di posta

È difficile dire in che modo questa precarietà influisca sulla qualità della copertura delle notizie europee, soprattutto considerando che molti dei freelance che siedono vicino a me mentre scrivo questo pezzo hanno sempre vissuto questa condizione. Lavorano a ritmo serrato. A mezzogiorno assistono a una conferenza stampa e poi passano l'ora successiva a battere al computer come forsennati. Non viaggiano quasi mai, e ammettono candidamente di non avere tempo per documentarsi. Sono qui per racimolare le notizie comode che l'Unione europea offre loro ogni giorno.

Se le notizie facili sono il tuo mestiere, lavorare all'Unione europea è una pacchia. Ogni giorno le caselle postali fuori dalla sala stampa della Commissione europea si riempiono di dispacci per i media che illustrano importanti (e costose) decisioni politiche. Puoi procurarti abbastanza facilmente il numero di telefono cellulare di eloquenti consiglieri (poliglotti) in grado di fornirti un contesto o una citazione volante per la notizia. Puoi presenziare alle “riunioni tecniche”, e se giochi bene le tue carte puoi persino accaparrarti un'intervista con un commissario.

Per i media elettronici ci sono due canali online che coprono gli eventi Ue (in Lussemburgo, a Bruxelles e a Strasburgo) e più video on demand di quanti ne possa contenere qualsiasi memory card. Gli studi e i tecnici sono messi a disposizione gratuitamente. Se vuoi registrare un'intervista televisiva con un eurodeputato ti basta chiamare i ragazzi del settore audiovisivo.

Un giorno ho messo assieme tutte le comunicazioni ufficiali che sono riuscito a trovare, quindici: un annuncio del commissario alle politiche regionali sulla competizione e l'assistenza pubblica; una commissione del parlamento europeo che voleva indagare sulla Common european sales law; un annuncio del vicepresidente Catherine Ashton sulle elezioni in Ucraina; l'approvazione da parte della Commissione della fusione di due compagnie di comunicazioni… Nel frattempo la mia casella di posta elettronica si è riempita di messaggi inviati da istituzioni Ue di cui ignoravo l'esistenza.

Raccontare la svolta

La colonna portante della fabbrica di notizie dell'Ue è la conferenza stampa quotidiana della Commissione, a mezzogiorno, che solitamente non fornisce alcuna informazione nuova. Il più delle volte, infatti, il portavoce della Commissione Pia Ahrenkilde Hansen (una versione poliglotta di C.J., per i fan di The West Wing) non fa altro che ripetere ciò che è già stato comunicato nei dispacci d'agenzia. Sto cominciando a sospettare che i cronisti si presentino alla conferenza soltanto per trovare un modo di raccontare la storia, per trarre spunto dalle domande di altri giornalisti o per cercare l'aggancio giusto.

I miei commilitoni scherzano spesso dicendo che hanno già imparato la regola più importante per un giornalista che lavora a Bruxelles: passa gli ultimi dieci minuti della tua giornata lavorativa a cancellare tutte le email che hai ricevuto dall'Unione europea. È meglio non portarsi a casa quella roba, e un rituale catartico può avere effetti positivi. Per quanto riguarda invece la gestione dei rapporti con l'istituzione su cui stai scrivendo un pezzo, su quello nessuno ti offre un buon consiglio.

Oggi ci troviamo a un punto di svolta per la storia dell'Europa e del mondo. Nei prossimi anni l'Unione europea si svilupperà nel suo insieme oppure il suo zoccolo duro abbraccerà lo spirito pionieristico dei padri fondatori dell'Europa e spingerà per una maggiore unità, arrivando a creare una federazione vera e propria. Per ora il cambiamento avanza a passo di lumaca, ma quando tra cinque anni noi cronisti tracceremo un bilancio della nostra attività ci accorgeremo di aver assistito a qualcosa di grande. Forse sarà il punto più alto della nostra carriera.

Ma saremo in grado a raccogliere la sfida? Riusciremo a innalzarci al di sopra della nebbia quotidiana fatta di comunicati stampa, citazioni e battibecchi per dare un senso ai tempi in cui viviamo? Oppure il nostro punto d'osservazione privilegiato negli scantinati della Commissione europea ci rende troppo vicini all'azione e troppo compromessi dai meccanismi degli annunci politici per comprendere cosa sta accadendo?

Nella stessa serie:

La cultura è diventata un lusso
La grande illusione digitale
Ancora a letto con il potere
El País paga le manie di grandezza

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