Per un mercato davvero comune

In Europa si possono comprare ovunque gli stessi formaggi, le stesse scarpe e le stesse automobili. Ma gli ostacoli alla libera circolazione restano, e il “mercato comune” è ancora lontano dalla sua completa realizzazione. 

Pubblicato il 10 Agosto 2010 alle 15:05

L’unico grande progetto realizzato è il mercato delle materie prime, ma la cancellazione dei vincoli commerciali non significa che adesso tutto fili senza problemi: ogni giorno sono lanciati sul mercato prodotti nuovi per stare al passo con l’innovazione e con l’evolversi delle tendenze, e insieme a essi appaiono continuamente nuove barriere, sotto forma di autorizzazioni o regolamentazioni nazionali che complicano la vita dei fabbricanti, privando i consumatori di una scelta più ampia.

Per poter sfruttare fino in fondo il potenziale del mercato comune occorrerebbe una normalizzazione logistica e una tutela più efficace dei diritti di proprietà intellettuale. Per esempio, ogni stato membro utilizza un diverso sistema segnaletico ferroviario, rendendo difficile utilizzare le stesse carrozze in tutti i paesi. I documenti di viaggio sono anch’essi diversi, e così pure la normativa per i brevetti.

La mobilità dei lavoratori resta un’illusione. Ogni anno 350mila europei sposano un cittadino di un altro stato membro residente all’estero, 180mila studenti studiano all'estero grazie al programma Erasmus e spesso vi si fermano a lavorare, ma incontrano parecchi ostacoli nel loro cammino. Il mercato unico è complicato non soltanto da evidenti barriere di natura culturale e linguistica, da difficoltà legate all’alloggio e alla creazione di una famiglia, ma anche dagli scogli giuridici.

L’Europa resta quindi una regione a scarsissima mobilità professionale. Soltanto il 2,3 per cento degli europei vive in un paese diverso da quello in cui è nato. Perché le cose possano cambiare radicalmente occorrerebbe armonizzare i sistemi di sostegno sociale e i diritti dei lavoratori, concedere la possibilità di trasferire all’estero il diritto di pensionamento acquisito e riconoscere integralmente le qualifiche professionali.

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Tra le deficienze del sistema ci sono l’assicurazione sanitaria, il recupero crediti presso un partner commerciale in un altro stato membro o l’incubo burocratico che è necessario attraversare prima di poter utilizzare un automezzo in un altro paese dell’Ue.

Vincere le diffidenze

L’azienda tipo europea è di piccole dimensioni: nove su dieci hanno meno di dieci dipendenti. Nell’Ue vi sono complessivamente venti milioni di piccole aziende, che formano l’ossatura dell’economia europea. Un mercato davvero comune sarebbe per loro una risorsa di potenziale sviluppo, ma l’Ue non fa molto per aiutarle. Soltanto l’8 per cento di esse ha un’attività commerciale di livello internazionale, e appena il 5 per cento ha filiali all’estero.

La rivoluzione tecnologica ha creato settori che non esistevano neppure quando nacque l’idea di un mercato unico, per esempio l’e-commerce o l’agricoltura biologica. In questi settori mancano nell’Unione europea normative comuni. L’Europa ha sì una moneta unica, ma i pagamenti su internet e la fatturazione elettronica restano frammentati dalle varie frontiere nazionali.

Il mercato comune non sarà mai tale se i vantaggi che offre non saranno riconosciuti dai milioni di cittadini europei, che si sentono frustrati perché considerano i vantaggi ormai acquisiti e si focalizzano invece sulle carenze. L’Europa continuerà a essere meno aperta all’integrazione rispetto ai suoi esordi.

La crisi finanziaria ha fatto vacillare la fede nella capacità del mercato di autocorreggersi. Molti lo considerano ancora immorale, creatore di inammissibili diseguaglianze. Il mercato unico deve dunque rispondere meglio ai timori e alle obiezioni generate dalla crisi. I paladini dell’integrazione devono mostrarsi più convincenti. Invece nuotano controcorrente: i cittadini hanno l’impressione che le riforme economiche approvate dai loro governi siano una conseguenza del mercato unico. Davanti all’ascesa delle potenze emergenti, un’integrazione più serrata servirebbe a difendere gli interessi economici dell’Europa molto più che trincerarsi sugli strumenti nazionali.

Tenuto conto delle grandi differenze che esistono tra le strategie degli stati membri e il potere che esercitano le lobby euroscettiche, bisognerà trovare dei compromessi. A dar retta all’ex commissario europeo Mario Monti, che ha consegnato al presidente della Commissione José Manuel Barroso un documento intitolato “Una nuova strategia per il mercato unico”, i nuovi stati membri potrebbero rivestire un ruolo cruciale nella ricerca di questo compromesso e nella loro applicazione. Sono loro che guadagnerebbero di più dall'integrazione, e avrebbero molto da perdere se il processo dovesse rallentare o invertirsi. (traduzione di Anna Bissanti)

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