Idee Europa e Medio Oriente

Una reazione debole dell’Europa alla guerra tra Israele e Hamas, per la gioia dei suoi rivali

Un'Unione europea unita avrebbe potuto svolgere un ruolo nella distensione del conflitto. Al contrario, le divisioni avvantaggiano Russia e Cina. L’analisi della politologa Nathalie Tocci.

Pubblicato il 13 Novembre 2023 alle 11:18

Lo scoppio delle violenze più gravi nel conflitto israelo-palestinese da decenni a questa parte, innescato dal terribile attacco di Hamas del 7 ottobre e dalla sproporzionata risposta militare di Israele, segna un punto di svolta nello sfascio che subisce il ruolo dell'Europa nel mondo.

Solo pochi mesi fa si narrava di un'Europa che, lentamente ma inesorabilmente, agiva in modo compatto. Dopo l'invasione dell'Ucraina da parte della Russia, il coraggio ucraino e il sostegno militare degli Stati Uniti hanno permesso all'Ucraina di resistere. L'assistenza offerta da Washington è stata di gran lunga superiore a quella che gli europei potevano fornire collettivamente. Ma di fronte al proseguire della guerra i governi europei hanno raccolto la sfida.

E l'unità politica a sostegno dell'Ucraina ha retto, nonostante le battute d'arresto, in particolare quelle create dall'Ungheria di Viktor Orbán. Undici pacchetti di sanzioni contro la Russia, l'accoglienza di milioni di rifugiati ucraini, la vittoria sul tentativo di Mosca di militarizzare la dipendenza energetica dell'Europa e l'aumento costante dell'assistenza militare ed economica sono stati i pilastri di una strategia concertata. 

L'Unione europea ha riaperto con convinzione le discussioni sull'adesione di nuovi membri, riconoscendo che, dopo l'invasione dell'Ucraina, l'allargamento è un imperativo strategico.

Nel frattempo, le relazioni transatlantiche sono in una fase positiva: dovremmo tornare agli anni Novanta per trovare un momento in cui il legame era così forte. Più in generale, l'Europa ha perseguito la sua transizione energetica attraverso l'accordo sul Green Deal; ha rafforzato la sicurezza economica e tecnologica per tracciare la sua strada in mezzo alla crescente rivalità tra Stati Uniti e Cina; e ha cercato modi per coinvolgere i Paesi del Sud globale.

Tutto ciò è stato fatto attraverso la sensibilizzazione diplomatica e il nuovo slancio dell'iniziativa "Global Gateway" da 300 miliardi di euro, concepita per stimolare la crescita e le infrastrutture verdi. L'esplicito collegamento tra il Global Gateway e il Corridoio economico India-Medio Oriente-Europa (Imec), lanciato al vertice del G20 di Delhi a settembre, riflette come l'Europa abbia dovuto rimodellare le proprie politiche per renderle più attraenti per il Sud globale.

Ursula von der Leyen, presidente della commissione europea, è entrata in carica nel 2019 dichiarando di voler guidare una "commissione geopolitica". La maggior parte di noi ha pensato che questo significasse un'Ue attrezzata per navigare, per conto dei suoi 450 milioni di cittadini, in un mondo di rivalità geopolitiche in pericolosa crescita. E fino a pochi mesi fa, l'Europa geopolitica sembrava essere alle porte.


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È stato a quel punto che tutto ha cominciato ad andare storto. In Africa occidentale, l'Europa, rappresentata essenzialmente dalla Francia, troppo appesantita dal bagaglio coloniale per riuscire nella sua decennale operazione militare di sradicamento delle forze jihadiste, è stata cacciata. Una serie di colpi di stato militari, uniti allo sfacelo della governance, agli effetti devastanti della crisi climatica, all'insicurezza alimentare e all'impennata dell’emigrazione, fanno pensare a un enorme fallimento della politica europea. Quello che Bruxelles chiama il suo "approccio integrato", in base al quale il rafforzamento della sicurezza per i governi africani favorevoli all'Occidente sarebbe combinato con gli aiuti allo sviluppo e le riforme democratiche, è moribondo.

I leader dell'Unione europea hanno riorientato lo sguardo verso il Nord Africa, con un osceno accordo sui migranti in cambio di denaro, firmato nel luglio di quest'anno, spinto dalla premier italiana, Giorgia Meloni, per di fatto comprarsi i servizi della Tunisia come custode, incaricata di impedire ai migranti di attraversare il Mediterraneo. Come era prevedibile il dittatore tunisino, Kais Saied, ha poi rinnegato l'accordo, volendo i suoi soldi senza prendersi alcun impegno.

Questa politica miope ora è a pezzi. L'Ue nasconde invece la sua mancanza di visione dietro le organizzazioni africane: dopo il colpo di stato in Niger ad agosto sono stati i governi membri dell'Ecowas a consegnare un ultimatum ai leader per ripristinare la democrazia. L'Europa si è sentita dire che ha sempre predicato "soluzioni africane a problemi africani". Per quanto lo slogan possa sembrare accattivante, nasconde solo che l'Europa non sa cosa fare.

Nei Balcani occidentali, la situazione non è ancora così grave, ma nonostante il rilancio della prospettiva di adesione all'Ue per i paesi candidati, la violenza è esplosa tra Serbia e Kosovo. Anche in questo caso l'Ue non è stata in grado di fermarla, né tanto meno di convincere Belgrado e Pristina a trovare un accordo diplomatico.

Ben peggiore è la situazione nel Caucaso. A dire il vero, i fallimenti dell'Ue non sono dovuti alla mancanza di sforzi. Al presidente del consiglio europeo, Charles Michel, va riconosciuto il merito di aver mediato un accordo tra Armenia e Azerbaigian dopo la guerra del 2020. Ma questo alla fine è evaporato quando il conflitto è diventato violento con l'assedio dell'Azerbaigian al Nagorno Karabakh, con la successiva presa di controllo e la pulizia etnica di quasi tutti i 120mila armeni dell'enclave. E non si può ancora dire che sia finita: l'Azerbaigian, sostenuto dalla Turchia e implicitamente dalla Russia, rivendica un corridoio attraverso il territorio sovrano armeno per collegarlo alla sua exclave di Nakhchevan, che potrebbe tentare di conquistare con la forza militare.


In un mondo in cui la frammentazione, la polarizzazione, il conflitto e la violenza stanno prendendo il sopravvento, è necessaria un’unione multilaterale che sia unita e all’altezza dei suoi principi democratici, per il bene dei cittadini europei e del resto del mondo


La piena portata del disfacimento dell'ambizione dell'"Europa geopolitica" è emersa chiaramente al nuovo scoppio della ostilità in Medio Oriente. L'Europa, cosi’ come gli Stati Uniti e le monarchie del Golfo, aveva implicitamente accettato la cinica narrazione israeliana secondo cui era possibile passare oltre alla risoluzione del conflitto israelo-palestinese. 

La potenza schiacciante di Israele e la sottomissione dei palestinesi, insieme all'eliminazione della questione palestinese dall'equazione regionale attraverso la normalizzazione dei legami di Israele con il mondo arabo, facevano parte di una strategia: si accettava implicitamente che la stabilità in Medio Oriente fosse possibile senza una risoluzione del conflitto israelo-palestinese.

Questa politica è stata avallata per la prima volta da Donald Trump con gli accordi di Abramo del 2020, tra Israele da un lato e gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrein, il Sudan e il Marocco dall'altro. Lo stesso approccio è stato perseguito da Joe Biden. Un accordo di normalizzazione tra Israele e Arabia Saudita avrebbe rappresentato il suo coronamento. L'Europa, tuttavia, è ricaduta nel suo ruolo tradizionale in Medio Oriente: fare da spalla agli Stati Uniti. L'iniziativa Imec, che vede protagonisti proprio Israele, gli Emirati Arabi Uniti e l'Arabia Saudita, oltre all'India e all'Ue, ne è un'ulteriore prova.

Le contraddizioni in Medio Oriente

L'aver aggirato la questione palestinese ha permesso all'Ue di evitare il problema della rimessa in discussione del suo stesso, faticosamente raggiunto, consenso interno sul conflitto – una soluzione a due stati basata sui confini del 1967. I governi dell'Ue che si erano schierati incondizionatamente con Israele avevano cominciato a appoggiare passivamente l'indebolimento e il rifiuto della soluzione dei due stati da parte del governo di Benjamin Netanyahu.

I tragici eventi che hanno seguito gli attacchi del 7 ottobre hanno messo brutalmente a nudo le contraddizioni dell'Europa. Si è assistito a una sconcertante cacofonia di voci, dagli aiuti dell'Ue ai palestinesi sospesi e poi ripristinati, a messaggi ambigui sulla necessità di Israele di difendersi entro i limiti del diritto umanitario internazionale.

Mentre alcuni leader europei, come Charles Michel o capo della diplomazia dell'Ue, Josep Borrell, sono stati chiari nei loro messaggi sugli obblighi legali di Israele, altri, tra cui la Von der Leyen, sono stati molto ambigui, causando attriti all'interno delle istituzioni europee e non solo. Dal punto di vista semantico, le differenze possono sembrare marginali; dal punto di vista politico, equivalgono alla differenza tra l'avvicinarsi a un incendio con una manichetta d’acqua e una bombola di gas.

Quando sembrava che l'approccio europeo stesse toccando il fondo, l'Ue ha continuato a scavare. I capi di governo hanno discusso se chiedere una pausa umanitaria nei bombardamenti su Gaza o un cessate il fuoco, finendo per convergere sulla prima formulazione, molto più debole. Ma l'inchiostro era appena asciutto su quell'accordo in seno al consiglio europeo quando i 27 stati membri dell'Ue si sono divisi in tre all'Assemblea generale delle Nazioni Unite: otto hanno votato a favore, 15 si sono astenuti e quattro hanno votato contro una risoluzione giordana che chiedeva una tregua e il rispetto del diritto umanitario internazionale.

La Francia ha votato a favore, ma pochi giorni prima il presidente francese Emmanuel Macron aveva aumentato la confusione, proponendo la riattivazione della coalizione anti-ISIS per combattere Hamas. Una proposta nata morta e che è sembrata poco più di un ammiccamento a Netanyahu, che ha fatto il parallelo "Hamas = ISIS".

Lo sgretolamento dell'unità europea sul conflitto israelo-palestinese può essere in definitiva una nota a piè di pagina nella lunga storia di fallimenti diplomatici su questa tragedia. Ma dovrebbe essere di più. È stata la Comunità europea che, nel 1980, ha riconosciuto per la prima volta i legittimi diritti di autodeterminazione del popolo palestinese, e l'Unione che alla fine degli anni Novanta ha articolato il significato di una soluzione a due stati. L'Ue è ancora il principale partner commerciale di Israele e il principale fornitore di aiuti ai palestinesi. Con una leadership più coraggiosa e coerente, l'Europa avrebbe potuto svolgere un ruolo molto più costruttivo.

E se le ripercussioni delle sue divisioni sono finora interne, la situazione potrebbe cambiare se l'acrimonia persiste e la lotta per il consenso interno sottrae energie per un'azione costruttiva altrove, anche in Ucraina.

Mentre il Medio Oriente brucia e gli Stati Uniti, anche se in modo unilaterale, cercano di contenere l'incendio, Russia e Cina assistono soddisfatte. Con le speranze di un'Europa geopolitica che evapora davanti ai nostri occhi, qualcuno potrebbe dire "e allora?". La risposta è che in un mondo in cui la frammentazione, la polarizzazione, il conflitto e la violenza stanno prendendo il sopravvento, è necessaria un'unione multilaterale che sia unita e all'altezza dei suoi principi democratici, per il bene dei cittadini europei e del resto del mondo.

👉 L'articolo originale sul Guardian

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