Veduta del castello Malaspina di Massa, di Leo von Klenze

Un amore europeo

Lo scrittore moldavo Vitalie Ciobanu ricorda l'idillio tra sua nonna e un soldato italiano durante la Seconda guerra mondiale. Nel loro amore vede una metafora del rapporto tra la Moldavia e l'Europa.

Pubblicato il 11 Giugno 2009 alle 17:05
Veduta del castello Malaspina di Massa, di Leo von Klenze

C'è una storia nella mia famiglia che mi ha sempre affascinato. Parla del passaggio di un reggimento di soldati italiani (che partecipavano all'offensiva tedesca nell'Europa dell'est) a Floresti, la mia città natale, nell'estate del 1942. I ricordi che ho di loro sono l'esatto contrario dell'immagine della guerra che avevo visto nei film sovietici della mia infanzia. Il loro atteggiamento era distaccato, filosofico. Nascosti nella penombra di una stanza buia, la loro immagine risvegliava nell'animo della gente di questa città la paura dell'ignoto, ma anche e soprattutto la curiosità.

Questo genere di curiosità è all'origine di una questione ancora oggi molto delicata per i miei nonni. C'era una tensione che io non riuscivo capire e la cui fonte mi è stata rivelata solo molto tempo dopo. L'accampamento degli italiani a Floresti non aveva raggiunto le dimensioni epiche di un "Capitano Corelli" - film girato nel 2001 e tratto dal romanzo di Louis de Bernières - ma il villaggio dei miei nonni aveva qualcosa dell'austerità dell'isola greca di Cefalonia, occupata dalle truppe italiane nel film.

Mia nonna, Ioana, maestra del villaggio, aveva conosciuto un giovane tenente chiamato Vincenzo, di Massa - la città famosa per le sue cave di marmo.

Il loro idillio ha lasciato delle tracce: sette lettere del soldato, inviate dopo la partenza del contingente. Nonna era soprannominata "l'italiana". Il militare aveva imparato qualche parola di rumeno, con le quali concludeva le sue lettere.

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Le lettere di Vincenzo mi hanno dato lo spunto per scrivere un romanzo. Da allora raccolgo dati e informazioni. Sono stato aiutato anche dai miei cugini che vivono in Italia con mogli e figli. Grazie a loro sono riuscito a ripercorrere questa storia, fino alla città natale di Vincenzo.

Negli ultimi anni le cose in Moldavia sono molto cambiate. Nello spiazzo dove un tempo si giocava o si ballava la domenica, oggi la gente aspetta i pacchi e le poche centinaia di euro inviati dai familiari emigrati per lavoro. La folla attorno ai furgoni pieni dimostra che non è solo il denaro che aiuta questa gente a vivere. Questi scambi rappresentano la loro forma di contatto con il mondo, con l'Europa che conta. È il loro modo di partecipare alla creazione del futuro, perché oltre a ricevere mandano pacchi con formaggio e marmellate "fatte in casa".

In fin dei conti, al di là del dramma di chi lascia la propria casa spinto dalla povertà, l'esodo dei moldavi in Occidente è un gesto tardivo per rientrare in possesso della storia. Di quella storia che, 65 anni prima, i miei compatrioti incrociavano sotto forma di soldati abbronzati e della loro lingua musicale. Un ponte tra le epoche e un calamaio militare, nel quale Vincenzo intingeva la sua penna. L'Europa nel calamaio. Mi chiedo se esiste una Floresti sulla carta sentimentale degli italiani, come esiste una Massa nella topografia affettiva della mia famiglia. Sogno di raggiungere la città del marmo per verificare le mie fantasie. E spero di rivedere il castello sulla collina. Dovrebbe essere laggiù, ancora maestoso, con le sue torri bagnate di luce, come lo ho visto la prima volta, come lo ho sognato in quei lunghi pomeriggi d'estate.

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