Nardi Maga Europe

L’Europa può resistere alla potenza di fuoco delle big tech made in Usa?

I duri attacchi di Elon Musk e di altri libertariani della Silicon Valley contro la legislazione Ue sui servizi digitali in materia di lotta alla disinformazione e agli abusi di posizione dominante nel settore delle big tech si sono moltiplicati dopo la rielezione di Trump e la nomina di Musk a capo del dipartimento per l’efficienza governativa.

Pubblicato il 18 Febbraio 2025

L’integrità delle elezioni in Europa e la possibilità di un dibattito non inficiato da campagne di disinformazione manovrate dall’estero sono oggi rimesse in discussione dai ripetuti interventi di Elon Musk, il proprietario di X, Tesla e Space X, oltre che dalla piattaforma cinese TikTok, e da Meta, la società di Mark Zuckerberg di cui fanno parte Facebook, Instagram, WhatsApp e Threads. 

L’editorialista americana Anne Applebaum scrive su The Atlantic: “TikTok sostiene di non accettare pubblicità di stampo politico. Meta, che ha annunciato a gennaio che non farà più fact checking sui suoi siti statunitensi, afferma però che continuerà a rispettare le leggi europee. Ma anche prima del radicale cambio di orientamento politico di Zuckerberg, tutte queste promesse erano rimaste sulla carta. Diversi paesi europei, tra cui Regno Unito, Germania e Francia, hanno adottato delle leggi che hanno l’obiettivo di conformare le piattaforme digitali ai propri sistemi giuridici, multando le aziende che violano le leggi sui discorsi d’odio o ospitano contenuti illegali. Queste leggi, tuttavia, sono controverse e difficili da applicare”. 

Infatti, prosegue Applebaum, “al mondo c’è una sola istituzione abbastanza grande e potente da redigere e applicare leggi che possono obbligare le imprese della tech a cambiare le loro politiche. È in parte per questo motivo che l’Unione europea potrebbe presto diventare uno dei principali bersagli dell’amministrazione Trump”.

Entrato in vigore l’anno scorso, “il Digital Services Act (DSA)” permette ai cittadini e alle cittadine dell’Ue di lottare contro i contenuti illegali e qualunque forma di disinformazione su Internet, mentre il Digital Markets Act [DMA, il regolamento europeo sui servizi online] si occupa degli abusi di posizione dominante”, sintetizza Virginie Malingre su Le Monde. La corrispondente a Bruxelles del quotidiano francese aggiunge che “le grandi piattaforme rischiano una multa che può arrivare al 6 per cento del loro volume d’affari globale nel primo caso, e del 10 per cento nel secondo. In ultima istanza, possono anche essere obbligate a ridurre le proprie attività in Europa”. 

Dalla loro entrata in vigore, ricorda Malingre, “sono state aperte varie inchieste: dieci ai sensi del DSA, di cui una contro X, due contro Facebook e due contro Instagram; sei ai sensi del DMA, di cui due contro Alphabet [la casa madre di Google], tre contro Apple e una contro Meta. A oggi, se ne è conclusa solo una, che ha portato alla chiusura nel Vecchio continente di TikTok Lite, accusato di creare una forte dipendenza tra i giovani”. 

Secondo Malingre, su questo fronte la Commissione ha “un’ossessione: essere inattaccabile per non essere poi sconfessata davanti alla Corte di giustizia europea”. Un’impresa titanica, “visto che l’applicazione del DSA e del DMA è affidata a sole 250 persone, mentre Google, X o Meta possono contare su migliaia di giuristi”. 

“La legislazione dell’Ue mira ad aumentare questo livello di contrattazione da parte dei singoli e anche ovviamente da parte degli stati, perché ormai ci troviamo in una situazione in cui queste grandi piattaforme quasi erodono la sovranità statale”, spiega in un’intervista a Il Manifesto, Carola Frediani. Per questa giornalista esperta in diritti digitali e animatrice della piattaforma Guerredirete, “quello dell'Ue è quasi un contrattacco, e da parte della nuova amministrazione statunitense viene visto come un attacco alle industrie americane. Perché le principali piattaforme social, a partire da X, sono appunto americane e stanno cercando una sponda nella presidenza Trump per sottrarsi a questa politica europea”. 

Dopo un elenco degli imprenditori della Silicon Valley che si sono distinti per le loro prese di posizione conservatrici – quando non reazionarie – e libertariane, Frediani osserva che “quello che secondo me accomuna le visioni un po’ eclettiche e contraddittorie […] è il disprezzo per la democrazia liberale fatta di organi intermedi, di pesi e contrappesi, di leggi che limitano il raggio d’azione delle aziende controllate da queste persone. Ed è in questo senso che si stanno muovendo, Musk come altri, per indebolire l’Unione europea e minarne gli interessi economici e strategici”.

Gli scontri tra Musk e l’Ue sono inevitabili perché, come osserva György Folk su HVG, Musk “controlla un social soggetto al DSA, il regolamento europeo sui servizi digitali; Tesla è un importante attore industriale europeo (la gigafactory del marchio automobilistico a Berlino-Brandeburgo Grünheide è un investimento di quattro miliardi di euro), e Space X (e la sua società di telecomunicazioni satellitari associata a Starlink) beneficiano dei sussidi dei programmi di finanziamento europei per la ricerca spaziale”. È dunque particolarmente significativo che Elon Musk “spenda una parte dei suoi utili a finanziare partiti populisti di estrema destra”, aggiunge Folk.

“Il compito dell’Unione europea e delle autorità nazionali è far rispettare le leggi comunitarie sulle reti social”, ricorda poi Caspar Schwietering su Tagesspiegel. “L’odio e l’incitamento all’odio devono avere delle conseguenze. Le autorità dovrebbero tenere X sotto stretta osservazione […] Bisogna verificare se Musk sfrutta il suo controllo sugli algoritmi di X per dare maggiore risalto alle posizioni di estrema destra. L’Europa non deve tollerare una simile manipolazione dell’opinione pubblica”.

“L’Ue deve rompere la macchina manipolatoria delle Big tech”, rincara la dose Johnny Ryan sul Guardian, e per questo la presidente della commissione europea “Ursula Von der Leyen e Henna Virkkunen [la commissaria europea per la sovranità tecnologica, la sicurezza e la democrazia] dovrebbero adottare tre misure urgenti a protezione della democrazia. In primo luogo, imprimere una decisa accelerazione alle regole adottate ai sensi del DSA contro gli algoritmi che fanno deragliare il dibattito politico […]. In secondo luogo, esercitare una forte pressione politica sull’Irlanda perché applichi il regolamento generale sulla protezione dei dati (RGPD) alle big tech […]. In terzo luogo, le autorità nazionali devono prepararsi a prendere dei provvedimenti contro gli algoritmi delle big tech, o a escluderli dai loro mercati se le aziende si rifiutano di adeguarsi alle normative”.

In definitiva, i leader europei hanno la possibilità di fare qualcosa per fermare questo tsunami? 

“Assolutamente no”, afferma l’esperto Rasmus Kleis Nielsen. Sulle pagine del quotidiano danese Politiken, l’ex direttore dell’Istituto Reuters per lo studio del giornalismo dell’Università di Oxford ricorda in effetti che “sebbene il Regno Unito e l’Unione europea abbiano entrambi introdotto una nuova legislazione sul digitale e l’abbiano presentata come un argine alla disinformazione e alle ingerenze straniere, questa normativa non fornisce alla classe politica degli strumenti immediati ed efficaci. Può essere frustrante, ma in linea di principio è comprensibile. La libertà d’espressione protegge sia il diritto di Musk a dire quello che vuole, sia il nostro di leggere ciò che dice, se lo vogliamo”, aggiunge. “E questo diritto fondamentale […] non si limita a un discorso ‘corretto’, ma protegge al tempo stesso i discorsi ‘scioccanti, offensivi, disturbanti’”.

D’altro canto, ricorda Nielsen, “la sfida per gli stati europei è che ci vorrà del tempo se vogliono usare gli strumenti esistenti per mettere a tacere Musk […]. Una cosa è chiudere un media pubblico di Vladimir Putin, come ha fatto l’Ue nel 2022. Un’altra è scagliarsi contro la Casa Bianca, l’uomo più ricco del mondo e le forze che in Europa sostengono le loro idee”. 

Forse, conclude, “alla fine, il male minore è avere fiducia nella capacità delle persone di resistere, malgrado la tempesta che imperversa tutto intorno”.

In collaborazione con Display Europe, cofinanziato dall'Unione europea. I punti di vista e le opinioni espressi sono esclusivamente quelli dell'autore o degli autori e non riflettono necessariamente quelli dell'Ue o della Direzione Generale per le Reti di Comunicazione, i Contenuti e la Tecnologia. Né l'Unione europea né l'autorità che ha concesso il finanziamento possono essere ritenute responsabili.
ECF, Display Europe, European Union

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