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Industria automobilistica
La Citroën C-Métisse al salone dell'auto di Parigi 2006. Jipol/Flickr

Futuro da rottamare

L'annuncio della chiusura dello stabilimento Opel di Anversa sottolinea la crisi del settore in Europa. Al di là della congiuntura economica, la stampa si interroga sulle prospettive di un modello industriale fondamentale per il continente.

Pubblicato il 22 Gennaio 2010 alle 16:53
La Citroën C-Métisse al salone dell'auto di Parigi 2006. Jipol/Flickr

“La Opel di Anversa sacrificata: fine del miracolo fiammingo”, “Opel, il colpo più duro”, “L'Opel taglia 2.600 posti”, tutta la stampa belga parla della chiusura dello stabilimento Opel di Anversa annunciato il 21 gennaio dalla General Motors (Gm). “In un mondo globalizzato dove dominano le multinazionali, una piccola regione senza un vero interesse politico come le Fiandre è il posto ideale per ricorrere all'accetta”, si rammarica De Morgen.

Ma Anversa non sembra essere un caso isolato. Gm, che aveva diverse volte smentito l'intenzione di chiudere i suoi stabilimenti, prevede adesso di sopprimere 8.300 posti su quasi 50mila in Europa, di cui 4mila in Germania, e di ridurre del 20 per cento la sua capacità di produzione. Secondo De Standaard, “la domanda principale è: quale sarà il nostro futuro? Dobbiamo guardare la realtà in faccia: gli anni gloriosi di questo settore non torneranno mai più”. Il quotidiano ritiene che lo stato debba assumersi le sue responsabilità e che le imprese debbano puntare sull'innovazione per uscire dalla crisi. “Ci sono interessanti opportunità in materia di prodotti tecnologici di punta ed ecologici, come le automobili elettriche. […] E in questo cambiamento radicale lo stato ha un ruolo importante da svolgere; deve creare le condizioni per promuovere l'innovazione e per attirare gli investitori”. La chiusura annunciata dello stabilimento Opel prefigura forse la scomparsa dell'industria automobilistica europea? La situazione negli altri paesi sembra confermarlo, sottolinea Les Echos. "Renault e Peugeot-Citroën hanno annunciato 10mila esuberi per il 2009. La Fiat prevede di chiudere il suo stabilimento in Sicilia, che dà lavoro a 1.400 persone. E il coincidere della crisi, della saturazione del mercato, dell'evoluzione tecnologica e dell'avvento di nuovi concorrenti asiatici aumenta la minaccia".

Ma secondo il quotidiano economico parigino, “sul piano competitivo, l'Europa non è mai stata così forte". Volkswagen è all'avanguardia rispetto a tutti, a cominciare dalla Toyota, Renault rimane il pioniere e il modello delle alleanze transcontinentali riuscite, Fiat ha comprato Chrysler e Audi, mentre Mercedes e Bmw sono ancora senza rivali a livello mondiale". Il problema che si pone per l'industria automobilistica europea non è tanto la minaccia della fine di un'industria, "quanto piuttosto quello del suo modo di produzione", osserva Les Echos. L'industria tedesca, francese e italiana devono fare i conti con i loro stessi "espedienti", che hanno portato alla delocalizzazione nei paesi dell'est per fronteggiare la crisi e la saturazione del mercato europeo. "Oggi una macchina su cinque è prodotta in Polonia, in Ungheria, in Romania o in Slovenia, in unità moderne, più redditizie degli stabilimenti storici. La conseguenza è una sovrapproduzione difficile da quantificare, ma che tenuto conto del crollo del mercato potrebbe raggiungere e superare il 50 per cento", spiega il quotidiano. "Questa transizione sarà dolorosa, come quelle che abbiamo già vissuta in passato in settori come la siderurgia, con conseguenze più o meno uguali: concentrazione degli attori, modernizzazione dei mezzi di produzione e specializzazione verso i prodotti di lusso". "Il Belgio può servire da esempio per il governo tedesco, che ha assicurato la sopravvivenza della Opel”, commenta Tagesspiegel. “Sebbene il governo fiammingo abbia voluto sostenere Opel con 500 milioni di euro, Gm non ha esitato a chiudere il sito di Anversa. A volte il denaro non è tutto”.

Questo episodio illustra bene l'incapacità dei governi nel salvare le grandi imprese dei loro paesi, commenta La Libre Belgique, segnalando “una duplice impotenza. In primo luogo quella della politica a influire sul corso degli eventi in un'economia globalizzata. (…) In secondo luogo, quella di un'Europa incapace di superare gli egoismi nazionali per contrapporre ai ricatti delle grandi imprese una risposta sociale coerente e concertata nell'interesse generale”. (adr)

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