Attualità Olio di palma e greenwashing

La farsa del biodiesel ecosostenibile: il caso ENI e TotalEnergies

Aspettando che entri in vigore il divieto europeo di importare olio di palma per il biodiesel quest’ultimo continua a essere prodotto con oli potenzialmente ricavati da piantagioni sorte disboscando la foresta vergine, come illustra il caso dei giganti italiano e francese in Indonesia.

Pubblicato il 12 Gennaio 2023 alle 08:24
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L’italiana Eni e la francese TotalEnergies (come molti altri produttori europei di biocarburanti) hanno finora spacciato per “ecologico” il diesel prodotto con olio di palma potenzialmente prodotto in zone deforestate, pur se certificato a norma di legge. L’olio di palma fa parte delle sostanze al centro del disegno di regolamento dell’Unione europea sulla messa al bando dei prodotti ricavati da terreni disboscati in corso di discussione

I due colossi energetici che controllano una bella fetta delle stazioni di servizio in Europa e in Italia (nel trio di testa dei produttori europei di biodiesel insieme a Germania e Spagna). Tecnicamente, il biodiesel venduto dalle due aziende rispetta il sistema di certificazione dell’Unione europea. Sin dal 2009 la normativa Ue impone agli stati membri di sostituire i carburanti fossili con una quota crescente di eco-combustibile per contrastare il riscaldamento globale (il 14 per cento per i trasporti entro il 2030). 

Ma questo stesso meccanismo offre scappatoie legali che hanno consentito agli operatori di continuare ad importare olio di palma senza garantire un’effettiva sostenibilità ambientale e climatica. 

Perso un terzo delle foreste

In questo modo l’Ue ha però finito per incentivare la domanda di olio di palma per produrre biodiesel e quindi la conversione delle giungle tropicali in piantagioni di palme da olio, contribuendo al rilascio di CO2. Per via dell’olio di palma negli ultimi venti anni è andato perso circa un terzo delle foreste in Indonesia, paese da cui proviene quasi il 50 per cento del fabbisogno europeo di olio di palma.

Per rimediare a questo disastroso effetto boomerang, nel 2018 l’Ue ha deciso di depennare l’olio di palma dal novero delle fonti di energia rinnovabile, ma questo solo a partire dal 2023 e, per di più, ritardandone fino al 2030 l’eliminazione definitiva. Fino ad allora l’olio di palma potrà ancora essere certificato come sostenibile a patto che non provenga da aree disboscate dopo il 2008. 


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Eni e TotalEnergies hanno annunciato di non utilizzarne più sin dall’autunno 2022. Negli ultimi quattro anni hanno tuttavia continuato a importarlo (oltre 1 milione di tonnellate per la sola Eni), certificandolo in base al cosiddetto “bilancio di massa” (1). Si tratta di un metodo di contabilizzazione che l’Ue ha ufficialmente riconosciuto per facilitare gli operatori, ma che contraddice il principio stesso di sostenibilità. Questo sistema, se è apprezzato dai produttori per la sua efficienza poiché semplifica la gestione lungo tutte le tappe della produzione, non consente lo stesso livello di tracciabilità del sistema detto segregato, dove le materie prime sono fisicamente separate durante tutto il processo di produzione e trasporto. Per questo motivo, molte organizzazioni ambientaliste lo giudicano un’eco-farsa.

Per svelarla, abbiamo seguito a ritroso nell’intera filiera di approvvigionamento: dalle bioraffinerie dove Eni e TotalEnergies trasformano l’olio di palma in biodiesel, rispettivamente a Gela e Porto Marghera in Italia e La Mede in Francia, fino alle piantagioni dove vengono raccolti i frutti di palma da cui viene estratto l’olio. Le due società ne importano significativi volumi dalla comune raffineria indonesiana Sari Dumai Sejati, sull’isola di Sumatra, che appartiene al Gruppo Apical, uno dei leader mondiali nel settore. 

Piantagioni di palme da olio della Apical a Sumatra. | Fonte: Apical

Eni si approvvigiona, inoltre, dalle raffinerie di almeno altri quattro produttori operanti nel paese asiatico. Le raffinerie locali lavorano l’olio grezzo che viene loro fornito da svariati centri di spremitura, i cosiddetti mulini, dove vengono macerati i frutti. La raffineria riceve dai mulini sia lotti di olio certificati, ossia derivanti da piantagioni verificate, sia lotti di dubbia provenienza, ricavati cioè da piantagioni sorte su terreni disboscati, anche dopo il 2008.

Negli stessi serbatoi

Nei mulini i lotti sono separati solo sulla carta. Nella pratica vengono riversati tutti nei medesimi serbatoi, che vengono poi consegnati alla raffineria. Il carico d’olio che da Sari Dumai Sejati arriva fisicamente, su navi cargo, a Eni e TotalEnergies mescola quindi la porzione certificata con quella che non lo è (imputabile quindi a probabili attività deforestazione). 

Lo stesso vale per l’olio che l’Eni acquista dalle altre raffinerie indo…

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