Analisi Gli europei e il Covid-19 | Lettonia, Lituania ed Estonia

La “bolla baltica” e il Coronavirus: stanchezza, negazionismo e professionisti del lockdown

Lettonia, Lituania ed Estonia saranno anche molto vicine, ma hanno affrontato e gestito la pandemia in modi assai diversi, nel bene come nel male, spiega la giornalista Anna Ūdre da Riga.

Pubblicato il 27 Dicembre 2020 alle 13:47

Mentre gli altri Paesi chiudevano le frontiere per impedire al virus di diffondersi, nel maggio 2020 i Paesi Baltici hanno abrogato le reciproche restrizioni di viaggio per consentire piena libertà di movimento alla loro popolazione, senza bisogno di isolamento. Il lancio della cosiddetta bolla baltica di viaggio è stato accolto bene dagli estoni e dalle istituzioni dell’Ue, che hanno incoraggiato altri stati a seguirne l’esempio.

Benché tutti e tre i Paesi Baltici siano stati in grado di mantenere la “bolla baltica” per qualche tempo durante l’estate, a settembre nei loro territori si sono scoperti più casi di contagio. La “bolla” è definitivamente scoppiata quando la Lettonia ha ristabilito una quarantena di 14 giorni per i viaggiatori in arrivo dai Paesi vicini. Subito dopo, quando si sono trovati alle prese con la seconda ondata della pandemia, i Paesi Baltici hanno ripristinato le restrizioni.

I lettoni iniziano a sentire l’affaticamento da coronavirus

La pandemia di Covid ha colpito la Lettonia all’inizio di marzo. La prima persona a portare il virus nel Paese era di ritorno da Milano: il 13 marzo è stato dichiarato lo stato d’emergenza nazionale. In quel momento, erano stati individuati soltanto 20 contagi, senza decessi. I viaggi internazionali sono stati proibiti e a tutti è stato consigliato di restare in casa e, se possibile, di lavorare a distanza. Le scuole sono state chiuse, i tamponi sono aumentati e sono entrate in vigore multe per chi non rispettava le restrizioni.

In seguito, lo stato d’emergenza è stato prolungato fino all’inizio di giugno, quando soltanto poche restrizioni sono state alleggerite. In quel periodo, la situazione non era nemmeno vagamente critica, e la maggior parte della popolazione – fino al 70 per cento – considerava le restrizioni imposte adeguate e necessarie. Benché chiedessero un alleggerimento delle restrizioni e le criticassero, quelle frange marginali della popolazione non erano granché influenti né visibili. Con la seconda ondata del Covid-19, è cambiato tutto. 

La percentuale di cittadini che si fida delle informazioni del governo è scesa al 53 per cento, mentre quella di chi non si fida è aumentata, passando dal 28 al 37 per cento. Perdipiù, oggi soltanto il 43 per cento dei cittadini è d’accordo con le nuove misure imposte dalle autorità. Sui social media alcuni gruppi di attivisti criticano esplicitamente il governo per le restrizioni e accusano i media di “essere agli ordini delle autorità e di diffondere false notizie”.

Uno di questi gruppi, "Tautas Varas Fronte", ha organizzato una manifestazione a Riga accanto al Monumento della Libertà: in quell’occasione si è arrivati a mettere in discussione l’esistenza stessa del Covid-19 e i provvedimenti adottati, chiedendo di mettere sotto inchiesta il governo. All’evento hanno partecipato poche decine di persone, ma online i follower di queste teorie in alcuni casi sono migliaia. Benché la pandemia continui a diffondersi, anche l’insoddisfazione per la situazione e il governo continua ad aumentare.

Nel pieno della seconda ondata di Covid-19, Anda Rožukalne, docente dell’Università Stradiņš di Riga, ha condotto uno studio sull’atteggiamento della società lettone nei confronti delle notizie relative alla pandemia. Più della metà di tutti i 1005 intervistati segue regolarmente le notizie più importanti sul Covid-19, ma più o meno altrettanti dicono di aver perso interesse  o di essere stanchi di ascoltarle. Il 32 per cento degli intervistati ha detto di evitare qualsiasi notizia collegata al Covid-19. 

I notiziari hanno un’influenza significativa: il 37 per cento degli intervistati concorda sul fatto che seguire le notizie riguardanti il Covid-19 li fa sentire tutelati e permette loro di pianificare la vita con più facilità. Più della metà degli intervistati (il 53 per cento) concorda nel dire di aver perso interesse nelle notizie relative al Covid-19 o di esserne infastidito. La perdita di interesse incoraggia a fare il possibile per tenersi alla larga dalle notizie. I più interessati concordano meno spesso di evitare di proposito le informazioni sul Covid-19, mentre il 76 per cento di coloro che non sono preoccupati ha detto di evitare le informazioni relative alla pandemia. Il 39 per cento degli intervistati, infine, dubita che i notiziari riferiscano la verità. Più di frequente, sono proprio questi ultimi a non essere preoccupati dalla pandemia.

“Chi è insoddisfatto a causa restrizioni imposte con il lockdown ha tutti i motivi per esserlo. L’esercito di persone arrabbiate dai provvedimenti adottati si sta infoltendo rapidamente, non soltanto nel mondo, ma anche in Lituania”.

Dainius Kepenis

Tuttavia, alla lotta a favore dell’applicazione delle restrizioni si sono uniti molti attori, cantanti e artisti locali famosi che sui social media hanno pubblicato video, sollecitando la popolazione a indossare la mascherina e a restare in casa quando non sia assolutamente necessario uscire. Molti artisti risultati positivi ai tamponi hanno preso parola pubblicamente, ammettendo di essersi contagiati per non aver indossato la mascherina e per non aver insistito che lo facessero gli altri durante una sessione di registrazione con una coppia di colleghi e amici.

I lituani cedono alle sirene dei cospirazionisti

In Lituania, i primi casi di contagio si erano presentati ancora prima, già a febbraio, e anche in questo caso erano stati importati dall’Italia. All’inizio di marzo è stato introdotto un confinamento obbligatorio nazionale, prolungato più volte. Durante la prima ondata del virus, ogni giorno in Lituania si sono registrate alcune decine di casi di coronavirus. 

Con il lockdown nazionale, sono stati proibiti anche gli assembramenti, le scuole di ogni livello hanno iniziato la didattica a distanza, e musei, cinema e palestre sono stati chiusi. Da un sondaggio condotto dalla società di ricerche “Baltijos tyrimai”, realizzato fine di maggio, il 63 per cento della popolazione lituana adulta afferma di aver apprezzato l’operato del governo durante la quarantena (contro il 28 per cento che non l’ha ritenuto soddisfacente). Oltre a ciò, il 60 per cento ha giudicato positivamente il lavoro del comune di appartenenza (contro il 24 per cento che lo ha ritenuto negativo). Nel complesso, a giudicare positivamente le decisioni del governo e dei comuni sono stati le donne e i giovani.

 Tuttavia, nemmeno i lituani sono soddisfatti delle misure restrittive imposte durante la seconda ondata. “Chi è insoddisfatto a causa restrizioni imposte con il lockdown ha tutti i motivi per esserlo. L’esercito di persone arrabbiate a causa dei provvedimenti adottati si sta infoltendo rapidamente, non soltanto nel mondo, ma anche in Lituania”, ha detto Dainius Kepenis, parlamentare dell'Unione agraria lituana e dei Verdi a Baltic News Network (BNN).

 Violente reazioni contro le rigide quarantene si vanno moltiplicando nel Paese. Tutto ha avuto inizio alla fine di ottobre, quando le città lituane più importanti – Vilnius, Kaunas, Klaipeda e altre cinque municipalità – sono state messe di nuovo in confinamento obbligatorio. Un periodo di quarantena è stato imposto anche in distretti più piccoli. A quel punto, 21 comuni lituani si sono trovati in lockdown e costretti all’uso della mascherina in tutti gli spazi pubblici. Secondo la BNN, la pazienza della popolazione sta per esaurirsi.  

Molti imprenditori, che durante la prima ondata di Covid-19 avevano obbedito alle restrizioni e incoraggiato i loro clienti e follower a stare a casa e rispettare le misure imposte dallo stato, oggi non sono più così disposti a collaborare. Per esempio, Vidmantas Šiugždinis, amministratore delegato  di “Impuls”, la più grande catena di palestre e fitness club della Lituania, ritiene la chiusura dei centri sportivi un provvedimento eccessivo e irrazionale di contrasto del Covid-19.

Tra tutte le teorie del complotto che circolano, continua ad aumentare anche il numero delle persone che credono che la pandemia sia una cospirazione mondiale delle case farmaceutiche. BNN ha riferito addirittura di casi di decine di lituani che si sono introdotti di nascosto nei reparti Covid degli ospedali locali per filmare i letti semivuoti, come se questo dimostrasse che la situazione non è terribile come ospedali e governo li hanno indotti a credere. Uno dei “negazionisti” della pandemia, intervistato da BNN, ha dichiarato che “la gente viene ingannata e terrorizzata dal virus, e il numero effettivo delle vittime è stato gonfiato oltre misura. […] Adesso ogni decesso è classificato come morte da Covid-19”.

I nuovi casi di coronavirus continuano ad aumentare e, benché tutto il mondo stia aspettando con impazienza il vaccino, molti continuano a esprimere scetticismo, tra i quali Dainius Kepenis che ha dichiarato a BNN che “il vaccino è stato messo a punto troppo in fretta e i suoi effetti collaterali non sono noti. Temo che presto l’insoddisfazione generale possa raggiungere il punto di ebollizione e i vari governi, compreso il nostro, debbano affrontare reazioni scatenate dal confinamento obbligatorio.”

Il confinamento non perturba gli e-stoni

Il primo caso di Covid-19 in Estonia risale alla data del 26 febbraio: la persona contagiata proveniente da Istanbul, in Turchia, era passata già per Riga, in Lettonia. Il 12 marzo nel Paese è stato dichiarato lo stato d’emergenza. Fino all’8 aprile sono state sottoposte a tampone soltanto le persone sintomatiche con gravi malattie preesistenti o i cittadini di 80 anni o più anziani. Dopo l’8 aprile, i tamponi sono stati estesi a tutte le persone con sintomi, a prescindere dalle malattie preesistenti e dall’età. Inoltre, tutti gli operatori dei servizi indispensabili (il personale sanitario, gli agenti della polizia e delle guardie di confine) sono stati sottoposti a controlli continui. Nella prima metà del 2020 il contagio da Covid-19 è stato diagnosticato nello 0,2 per cento circa della popolazione. Dalla fine di giugno in poi, la percentuale è scesa a livelli ancora più bassi.

All’inizio di ottobre, la sensazione di pericolo degli estoni riguardo alla diffusione del coronavirus è aumentata leggermente. Il 58 per cento degli abitanti considera critica la situazione, mentre il 73 per cento teme di poter essere contagiato da qualcuno senza accorgersene. L’83 per cento degli estoni è disposto a indossare la mascherina in vari luoghi e circostanze: lo prova un sondaggio commissionato dal ministero degli Affari sociali. Se a settembre il 55 per cento della popolazione considerava ancora critica la pandemia, all’inizio di ottobre a pensarlo era il 58 per cento. Oggi il 21 per cento della popolazione crede che la fase acuta della pandemia sia terminata, ma che si debba rimanere vigili e obbedire alle misure di sicurezza approvate, mentre il 2 per cento crede che la crisi sia finita una volta per tutte.

Rispetto a settembre, è aumentata la percentuale delle persone che indossano le mascherine ed evitano gli eventi pubblici, gli assembramenti e i mezzi di trasporto pubblici. L’83 per cento della popolazione è disposta a indossare la mascherina ovunque. La percentuale più alta di chi è disposta a farlo lo fa quando si reca per una visita dal medico (75 per cento della popolazione), sui mezzi pubblici di trasporto (67 per cento), nei centri commerciali (60 per cento). La propensione a indossare la mascherina alle feste private continua invece a essere la più bassa (19 per cento).

Alla fine di novembre, le restrizioni riguardanti l’uso delle mascherine e il distanziamento sociale sono entrate in vigore insieme a quelle riguardanti gli eventi pubblici al chiuso, le riunioni e gli spettacoli con posti assegnati. Il Covid-19 continua a diffondersi perlopiù tra i giovani e il Consiglio sanitario nazionale (Terviseamet) ha detto: “Nelle ultime settimane si è manifestato un significativo aumento dei casi di contagio da coronavirus nella fascia di età 10-19 anni.” 

L’Estonia aveva creato una delle società digitali più avanzate al mondo ben prima della pandemia di Covid-19, fornendo alla popolazione servizi come il voto elettronico a distanza, la didattica digitale nelle scuole, la possibilità di espletare pratiche burocratiche on line e l’assistenza sanitaria digitale. Nella crisi provocata dal coronavirus, questa complessa infrastruttura si è rivelata determinante, un vero salvavita.

È stato pertanto chiesto al governo di riconsiderare le attività ricreative, cosa che ha fatto. Oltre a ciò, il governo ha esteso il divieto notturno di vendita di bevande alcoliche fino al 28 gennaio. In base a questa restrizione, quindi, ora è vietato vendere alcolici dalla mezzanotte fino alle 10 del mattino in tutti i locali che abitualmente li vendono per consumo sul posto, come ristoranti, bar e nightclub.

La rivoluzione digitale estone

Mentre la Lituania ha vissuto un confinamento nazionale obbligatorio e la Lettonia ha introdotto lo stato d’emergenza che proibisce gli eventi pubblici e il catering pubblico al chiuso, l’Estonia è stata meno rigorosa nell’imporre restrizioni ai concerti e alle rappresentazioni teatrali, ancora oggi consentiti.

Il governo ha approvato ulteriori provvedimenti per scongiurare il diffondersi del coronavirus, riducendo l’orario d’apertura delle strutture di intrattenimento, i locali dove si svolgono eventi pubblici, le ditte che si occupano di catering, e al contempo ha diminuito il numero delle persone che possono entrare insieme in un negozio o in una struttura di servizio. Le restrizioni sono entrate in vigore domenica 5 dicembre.

In sintesi, l’Estonia sembra essere in una situazione migliore rispetto agli altri stati baltici durante la seconda ondata di Covid-19. Come lo si spiega? All’inizio di marzo, l’Estonia aveva dichiarato lo stato d’emergenza, chiuso le sue frontiere e imposto un lockdown generale per fermare il diffondersi del Covid-19. Mentre gli altri Paesi entravano in crisi per la chiusura delle scuole e l’interruzione dei servizi di prima necessità,  l’Estonia ha continuato a usare la fiorente e resiliente infrastruttura digitale che ha impiegato decenni interi a sviluppare: le lezioni digitali, i materiali per la didattica a distanza e una vasta gamma di servizi pubblici online erano già disponibili e, circostanza ancora più determinante, gli estoni sapevano già come accedere a questi servizi e come utilizzarli.

L’Estonia, insomma, aveva dato vita a una delle società digitali più avanzate al mondo ben prima della pandemia da Covid-19, fornendo alla popolazione servizi come il voto elettronico a distanza, la didattica digitale nelle scuole, le pratiche burocratiche e l’assistenza sanitaria online. Nella crisi provocata dal coronavirus, questa complessa infrastruttura si è rivelata determinante, un vero salvavita. Alcuni servizi pubblici hanno continuato a funzionare come prima, perché erano già online, altri si sono adattati subito alla nuova situazione. Durante il lockdown, in Estonia il 99 per cento dei servizi governativi è rimasto sempre accessibile online. Le opzioni online esistevano già per le pratiche di tutti i giorni, come registrare una nuova attività imprenditoriale o una proprietà e richiedere i sussidi sociali. Alcuni di questi, come gli assegni familiari, si attivano in automatico in occasione di particolari eventi, come la nascita di un figlio e la sua registrazione all’anagrafe.

L’archiviazione online delle cartelle sanitarie individuali e delle prescrizioni mediche hanno emancipato gli estoni dai medici, dagli infermieri e dagli amministratori nella loro lotta alla pandemia. Solide forme di partenariato tra settore pubblico e privato hanno facilitato le opzioni a distanza nella vita di tutti i giorni, compreso il passaggio delle frontiere. Il governo estone, insomma, ha abbracciato con entusiasmo la vita digitale. 

Già prima della crisi, il gabinetto di governo era solito indire riunioni digitali online, e per parteciparvi gli utenti usavano la loro identità digitale. Già prima della crisi, l’87 per cento delle scuole ricorreva a soluzioni di didattica a distanza. Gli insegnanti avevano già frequentato corsi di formazione su internet e sono diventati ancora più esperti in sicurezza digitale. Il Paese si era prefisso l'obiettivo di digitalizzare tutti i suoi materiali didattici già nel 2015.  

In collaborazione con la Heinrich Böll Foundation – Paris


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