La lunga strada verso l’accordo del secolo

L'8 luglio a Washington sono cominciati i negoziati sul trattato di libero scambio transatlantico. Le opportunità per le due economie sono enormi, ma gli ostacoli si moltiplicano dopo lo scandalo Prism.

Pubblicato il 8 Luglio 2013 alle 14:47

A Washington non mancano i burocrati, ma questa settimana ce ne saranno ancora più del solito. La capitale degli Stati Uniti ospita infatti il primo round dei negoziati commerciali bilaterali tra America e Unione europea. Si tratta di una serie di colloqui a tutto campo, scopo ultimo dei quali è rimuovere tutti gli ostacoli che si frappongono tra le due economie e dare il via al libero scambio commerciale.

In termini più ampi, le due controparti cercheranno di eliminare i dazi sulle importazioni reciproche e cercheranno di ridurre al minimo le trafile burocratiche, così che gli affari internazionali possano espandersi più facilmente.

Il volume degli scambi commerciali tra America ed Europa è tale che perfino i progressi più piccoli avranno un’influenza enorme sulle economie di entrambe le sponde dell’Atlantico. Mentre l’Europa si trova alle prese con un altro anno di stagnazione, mentre gli economisti continuano ad assillarci con la crescente influenza di economie emergenti come Cina, India e Brasile, le relazioni commerciali tra gli Usa e l’Ue restano le più importanti al mondo.

Nei primi nove mesi del 2012 tra le due massime superpotenze economiche gli scambi commerciali hanno superato i 485 miliardi di dollari (338 miliardi di euro). I negoziati che iniziano a Washington – noti ufficialmente con la sigla Ttip (Transatlantic Trade and Investment Partnership (Ttip) – potrebbero portare alla creazione di un’entità commerciale che comprenderebbe circa la metà della produzione economica mondiale. Questo potrebbe voler dire ogni anno un valore aggiunto pari a 116 miliardi di euro per l’Ue, di 92 miliardi di euro per gli Usa e di 98 per il resto del mondo.

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I colloqui rappresentano anche uno dei motivi più importanti avanzati affinché il Regno Unito rimanga a far parte dell’Unione europea (3315021). Londra non è ancora uscita dall’Ue, naturalmente, ma se intende contribuire ai negoziati del Ttip con tutta la sua autorevolezza dovrà continuare a restare in gioco per parecchio tempo, referendum o non referendum. L’America ha fatto sapere che intende sfruttare la spinta del G8 per raggiungere un accordo commerciale bilaterale “con un solo pieno di benzina”, ma anche i più ottimisti scommettono che i negoziati dureranno almeno 18 mesi. Altri ipotizzano che sia più realistico pensare a un periodo di almeno tre anni.

Incombono già alcune nuvole politiche sull’esito dei colloqui per il Ttip, prima di tutto la crescente diffidenza tra gli stati membri dell’Ue e gli Stati Uniti, subentrata all’indomani delle accuse ad America e Regno Unito di aver spiato i loro stessi alleati in occasione dei precedenti negoziati.

I colloqui proseguono come da programma, ma le tensioni sono molto forti. Circa 120 rappresentanti dei team addetti a trattare per conto di Usa e Ue si incontreranno e si divideranno in una decina di sottogruppi. I delegati, tutti competenti in aree diverse, discuteranno di tutto, dagli ingredienti che è necessario riportare sui flaconi delle creme anti-invecchiamento alla possibilità per un avvocato che ha studiato a Londra di lavorare a New York con le medesime qualifiche.

I negoziatori dovrebbero forse partire dalla premessa che tutti i dazi andranno eliminati e decidere ciò che vogliono “reintrodurre”? O farebbero meglio a valutare le tasse sulle importazioni settore per settore? In ogni caso, affronteranno anche la questione di capire quali trafile burocratiche potranno essere liquidate rapidamente e quali finiranno al centro di prolungate e forse accese discussioni.

Una delle questioni più semplici sull’agenda è la questione dei dazi sulle importazioni. Le tariffe doganali tra Usa e Ue sono relativamente basse in rapporto agli standard globali – in media arrivano al 5,2 per cento per le merci importate nell’Ue e al 3,5 per cento per quelle dirette negli Usa –, ma l’enorme volume degli scambi commerciali tra questi due grandi blocchi economici implica che qualsiasi riduzione si tradurrebbe in risparmi significativi.

“Molte società britanniche già fanno affari con gli Usa, il nostro più importante mercato unico delle esportazioni. Ma, indubbiamente, liberalizzando le tariffe potremmo far risparmiare alle imprese del Regno Unito circa 1,16 miliardi di euro l’anno”, ha detto Danny Lopez, console generale britannico a New York, il cui compito principale consiste nell’aiutare le aziende britanniche a espandersi in America e viceversa.

Burocrazia da tagliare

Gli Stati Uniti penalizzano soprattutto le importazioni dall’Ue di prodotti tessili, abbigliamento e calzature, imponendo tariffe doganali rispettivamente del 40, del 32 e del 56 per cento. Ma vi sono anche tasse straordinarie per la consegna di determinati prodotti a determinati mercati, per esempio il vasellame in ceramica per la tavola per alberghi e ristoranti. Solo per importare articoli di questo tipo in America si devono pagare tasse pari a circa il 28 per cento della spesa.

L’Ue dal canto suo applica invece una tassa del 350 per cento sui prodotti a base di tabacco, che contribuisce a coprire la spesa necessaria a curare i danni alla salute di coloro che ne fanno uso e a garantire che i prezzi restino sufficientemente alti da dissuadere gli aspiranti fumatori dal contrarre questa abitudine. Si prevede che gli Usa chiederanno una sensibile riduzione di queste tariffe doganali, il che verosimilmente non sarà accolto favorevolmente in Europa.

Sotto molti punti di vista, il compito più arduo dei negoziatori del Ttip sarà quello di sciogliere l’intricato nodo della burocrazia. Le discrepanze tra i regimi burocratici di Ue e Usa costano ogni anno alle aziende di entrambi i paesi una cifra incalcolabile e si stima che nel solo Regno Unito corrispondano a circa 9,26 miliardi di scambi commerciali.

Nel settore auto, per esempio, i produttori devono lanciare i loro veicoli a tutta velocità contro un muro due volte per superare collaudi per la sicurezza pressoché identici. Le aziende di cosmetici devono approntare set diversi di etichette per i prodotti da vendere in Europa e negli Usa, perché gli enti americani di regolamentazione non accettano il termine “acqua”.

In futuro le cose potrebbero farsi più semplici anche per avvocati, commercialisti e altri professionisti, che potranno spostarsi tra i due blocchi, invece di essere costretti a lavorare dove hanno studiato. Questo è un cambiamento che non soltanto sbloccherebbe parecchi benefit economici, ma aprirebbe anche nuove strade completamente diverse per la carriera e lo stile di vita di milioni di persone.

Queste regole potranno sembrare anacronistiche, ma da molti punti di vista esemplificano alla perfezione le difficoltà che probabilmente si incontreranno nel corso dei colloqui per il Ttip. Alcune norme ormai obsolete sono potute restare in vigore soltanto grazie alle pressioni di gruppi e lobby potenti delle varie attività produttive, spesso contrarie a qualsiasi cambiamento che possa portare a una concorrenza più serrata tra gli attori internazionali.

Dalla Polonia

La nascita di un gigante

La creazione di una zona di libero scambio Ue-Usa potrebbe cambiare la geografia politica ed economica del mondo nei prossimi anni, scrive Marek Magierowski su Do Rzeczy. L’accordo comporterebbe “la cancellazione delle barriere doganali ma anche l’introduzione di un regolamento comune e di standard condivisi in ogni settore”. Secondo Magierowski 

la Transatlantic trade and investment partnership (Ttip) è senza dubbio il progetto più ambizioso dal lancio dell’Organizzazione mondiale del commercio (Omc) nel 1995. 
Il think-tank londinese Centre for economic policy research ha pubblicato una previsione secondo cui il Ttip genererebbe enormi profitti per entrambe le parti: 119 miliardi di dollari di reddito extra per l’Ue e 95 miliardi di dollari per gli Stati Uniti, mentre le esportazioni europee verso gli Usa aumenterebbero del 28 per cento. Il progetto ha inoltre un “enorme significato politico” e potrebbe rafforzare l’influenza globale dell’America e dell’Europa, attualmente in calo.

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