Dopo il referendum in Grecia

“L’odissea non è finita”

La netta vittoria del "no" ("OXI" in greco) nel referendum di domenica indica chiaramente che i greci non vogliono più l'austerity richiesta dai creditori internazionali e dai partner della zona euro. La stampa europea saluta nell'insieme questa prova di democrazia, ma ritiene che un nuovo accordo su un piano di aiuti è indispensabile.

Pubblicato il 6 Luglio 2015 alle 13:40

Questa rassegna stampa è stata realizzata originariamente per Internazionale

Un un editoriale intitolato “Il voto in Grecia avvicina il paese all’uscita dall’euro, ma l’odissea non è finita”, il responsabile delle pagine economiche del Guardian Larry Elliott avverte i dirigenti della zona euro decisi a imporre l’austerity alla Grecia malgrado il “no” di domenica. “In due parole”, dice, “dovrebbero provare a usare un po’ meno bastone e un po’ più carota”, cancellando una parte del debito greco. Anche se i leader europei dovessero raggiungere un accordo, la crisi avrà delle conseguenze preoccupanti sul lungo periodo:

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La Grecia ha messo in evidenza le debolezze strutturali dell’euro, un approccio uniforme che non conviene a paesi tanto diversi. Una soluzione potrebbe essere la creazione di un’unione fiscale accanto all’unione monetaria […] Ma questo richiederebbe proprio quel tipo di solidarietà che è stata drammaticamente assente queste ultime settimane. Il progetto europeo è in stallo.

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Il messaggio dei greci è chiaro, scrive Bart Sturtewagen, direttore di De Standaard: dopo una settimana di banche praticamente chiuse, con i danni notevoli per la vita quotidiana e gli affari, “una maggioranza inaspettatamente ampia ha comunque scelto di correre il rischio di dire no al piano di aiuti dell’Unione europea e dell’Fmi”. Benché il prezzo da pagare sia incredibilmente alto e il risultato sia uno smacco drammatico per la zona euro e l’intera Unione europea, Sturtewagen sostiene che –

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anche se è comprensibile che non si possano più sopportare i greci, è fondamentale tenere la testa fredda in questo momento. È la dialettica del delitto e castigo che ci ha portati a questo sfascio. Questo approccio si è dimostrato ripetutamente inutile. La questione della riduzione del debito non potrà più essere evitata. Lo sa persino l’Fmi. Se il premier Tsipras vuole davvero far qualcosa con la sua vittoria, deve dimostrare che il suo paese non vuole soltanto ricevere soldi, ma vuole anche cambiare e cambiare modo di governare.

Atene è sull’orlo del Grexit, dopo il referendum, ma c’è ancora “un barlume di speranza” che non si torni alla dracma, scrive Tomasz Bielecki. Secondo l’editorialista, sta ora a Parigi e a Berlino di decidere le prossime mosse:

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I nuovi aiuti alla Grecia devono essere accettati dai 18 paesi della zona euro e la Germania non è quello sulle posizioni più dure. Se comunque la cancelliera Angela Merkel dovesse fare un gesto verso i greci, dovrà vedersela con la rabbia di olandesi, spagnoli e lituani, che sono stufi della testardaggine dei greci. Non è sicuro che ci riuscirà, visto il livello raggiunto dalle emozioni da entrambe le parti e la situazione potrebbe facilmente sfuggire di controllo.

“L’Ue deve minimizzare i danni che il governo Tsipras ha provocato”, scrive Stefan Ulrich sulla Süddeutsche Zeitung: l’Unione dovrà, secondo lui, concedere un aiuto d’emergenza e la Grecia dovrà proporre delle riforme oppure “l’euro potrà benissimo fare a meno di lei”. Secondo Ulrich, il risultato del referendum è “un no al compromesso”:

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I greci sono soltanto uno dei popoli della zona euro. Possono decidere il loro destino in modo sovrano. Ma non possono imporre nulla agli altri popoli e ai loro governi. E soprattutto non possono imporre agli altri paesi dell’euro di dargli miliardi di euro senza condizioni.

Visto il risultato del referendum, Peter Schutz è scettico sulla possibilità di un accordo sulla crisi greca e prevede un futuro buio per il paese. Il 5 luglio entrerà nella storia allo stesso modo dell’11 settembre o del fallimento della Lehman Brothers, poiché la bocciatura del programma di aiuti da parte dei greci è l’inizio della scrittura di una nuova pagina della storia della Grecia, della zona euro e addirittura dell’Ue. Secondo Schutz alla fine la Grecia potrebbe uscire dall’Unione poiché la frattura tra il paese da un lato e la Francia e la Germania dall’altro sarà un ostacolo per qualsiasi futuro accordo o coabitazione:

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Il popolo greco avrà un assaggio di quel che vuol dire Armageddon o qualcosa di molto simile, poiché il sistema finanziario potrebbe crollare da un giorno all’altro e l’importazione dei beni di prima necessità potrebbe fermarsi. E una serie di fallimenti seguiti da licenziamenti sono da prevedere.

Per il quotidiano spagnolo la vittoria del “no” in Grecia rappresenta “una seria sfida al progetto europeo”, e il momento richiede “una risposta abile e ferma allo stesso tempo”:

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L’Europa è confrontata a un momento decisivo. Ormai ogni nuovo passo è rischioso e delicato. Ma è fondamentale non lasciare il futuro nelle mani di un gruppo di demagoghi ad Atene e di molti altri che, a destra come a sinistra, vorranno raggiungerli nei prossimi giorni in diversi paesi del continente. Il risultato del referendum richiede che tutti, dal governo di Alexis Tsipras a quelli della zona euro, dimostrino abilità, saggezza e di essere all’altezza affinché si eviti il crollo improvviso dell’economia greca. È un enorme imbroglio economico e democratico. Occorre trovare un punto d’incontro tra la volontà dei greci e quella degli altri europei, che non hanno avuto un referendum, ma i cui governi sono altrettanto legittimi.

Jean-Christophe Ploquin spiega nel suo editoriale che il “no” al referendum non risolve i problemi del paese. Dopo un passaggio per le urne i greci devono d’urgenza trovare il modo per evitare il fallimento delle loro banche e del loro stato. Inoltre,

dopo aver sollecitato gli elettori, la Grecia dovrà di nuovo confrontarsi con un’altra realtà democratica: la legittimità dei governi dei diciotto altri paesi della zona euro, le cui opinioni si spazientiscono e si preoccupano. I leader europei ora non si fidano di un premier bravo a schivare ma di cui non riescono a capire fino a che punto contesta il sistema liberale in vigore.

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