Idee Lettere sulla democrazia | 4

Caro Arnon, hai dimenticato la guerra in Ucraina, momento chiave per l’Europa

Oksana Zabužko, una delle voci della letteratura ucraina più famose all’estero, risponde con ironia e pertinenza alla lettera dello scrittore olandese Arnon Grunberg sulla democrazia in Europa. Dov’è l’Ucraina? Secondo l'autrice, la guerra in corso rivela i difetti e le falle nella cultura memoriale europea.

Pubblicato il 1 Giugno 2023

Caro Arnon,

ti ringrazio per la tua lettera, tanto sincera. 

Mi sento di ringraziarti, forse, anche perché nello stesso anno, il 1995, io e te abbiamo viaggiato sulla stessa linea aerea in direzioni opposte (potremmo aver viaggiato nello stesso momento; forse ci siamo incrociati, senza saperlo, davanti a un caffè a Schiphol): tu andavi dall'Europa a New York, io tornavo da New York, dopo quasi due anni negli Stati Uniti, verso l'Europa. Avevo la ferma convinzione, temprata nei due anni precedenti, che nonostante tutto il mio amore per i viaggi e la mia sete di terre inesplorate, non avrei potuto né voluto vivere altrove. Grazie perché la tua lettera suscita in me la nostalgia di un mondo che non esiste più.

Per la mia giovinezza, per l'euforia, ancora calda nell'aria, del crollo del muro di Berlino e dell'Unione Sovietica, per la fede onnipotente che avevamo nel fatto che un'Europa rinnovata avrebbe finalmente mostrato al mondo "la fine della storia” – come aveva promesso il filosofo statunitense Francis Fukuyama – che anche tirannie secolari, come la Russia e la Cina, stavano per essere eliminate e che, appunto, anche la Russia e la Cina sarebbero diventate democrazie liberali, spinte dall’evidenza che è un sistema che funziona, che finalmente il lupo si sarebbe sdraiato con l'agnello, e quelli che volevano ucciderti avrebbero invece accettato di cenare con te, conquistati dal gesto stesso del tuo invito...

Mai come oggi, per quanto possa ricordare, il mondo è stato governato da un'ingenuità politica così dolce – dolce come lo zucchero filato del luna park – e, oggi, il ricordo di quel mondo suscita in me qualcosa di simile a un'ondata di tenerezza materna: è stato un periodo meraviglioso. Peccato che sia stato così breve.

Dov'è la guerra in Ucraina?

Ho dovuto leggere la tua lettera tre volte, l'ultima stamane. Ieri sera, Kiev è sopravvissuta all'undicesimo attacco aereo russo di maggio: trenta razzi "Kalibr", fortunatamente abbattuti dalle nostre forze di difesa aerea. 

Ma un mese di sonno rovinato (perché, ti assicuro, questa roba fa un rumore infernale quando esplode) ha i suoi innegabili effetti: per questo volevo essere sicura di non essermi persa dei passaggi della tua lettera a causa dell’annebbiamento e della stanchezza…Non credevo fosse davvero possibile, nella tua Europa immaginaria, quella che stai costruendo dall'altra parte dell'Atlantico [Arnon Grunberg vive a New York, ndt] in questi stessi giorni di primavera del 2023, far finta che non stia accadendo nulla di tutto questo; far finta che la guerra più terrificante dalla Seconda guerra mondiale (e paragonabile a questa per il volume degli armamenti e la dimensione del fronte), una guerra per l'annientamento di quaranta milioni di persone, non sia combattuta, proprio ora, in questo continente. Come è possibile che, semplicemente, questa guerra sia stata omessa, come qualcosa di irrilevante, nel momento in cui si parla del  tema del futuro dell'Europa?


Il meglio del giornalismo europeo, ogni giovedì, nella tua casella di posta

E per la terza volta ho avuto la conferma che no, non mi è sfuggito nulla: tu rifiuti davvero, oggi, di vedere l'Europa come il prodotto di due guerre mondiali: l’unica guerra europea che citi nel tuo testo è l'implosione della Jugoslavia, trent'anni fa.

Capisco con quanta facilità, dall'altra parte dell'Atlantico, le guerre siano ormai solo “online”: non ce ne sono state a memoria d'uomo in quelle terre, e questo cambia la prospettiva. Quando tu sei  arrivato a New York, i musicisti alle fermate della metropolitana cantavano ancora "Help Bosnia now", lo ricordo. Da allora hanno cambiato il loro repertorio: tu scrivi con sicumera che quella guerra "è in gran parte scomparsa dall'inconscio collettivo, almeno fuori dalla Jugoslavia".

La generazione della guerra dei Balcani

Sarei più cauta con le affermazioni apodittiche e intendo qui dimostrare che quella guerra non è, in effetti, scomparsa dalla coscienza europea; per non parlare dell'inconscio (ammesso che qualcuno sappia come leggerlo).

L’ondata di migranti provenienti dai Balcani che ha cambiato per sempre la vita di centinaia di città italiane, svizzere e tedesche non permetterà di farla dimenticare, così come l’arrivo in massa di otto milioni di donne ucraine rifugiate sta ora cambiando la vita di città ceche, baltiche e polacche e non permetterà nemmeno di dimenticare (visto che stiamo parlando di inconscio) il senso di colpa, pesante come un sasso nello stomaco, e così profondamente europeo. E, ancora, il primo grave tradimento del sistema giuridico del dopo Yalta: il primo fiasco delle truppe di pace dell'Onu che si sono rivelate impotenti di fronte alla furia di Ratko Mladić a Srebrenica, esattamente come l'intero edificio diplomatico europeo di fronte a Vladimir Putin nel 2008 prima, e nel 2014 poi.


Come è possibile che, semplicemente, questa guerra sia stata omessa, come qualcosa di irrilevante, nel momento in cui si parla del  tema del futuro dell'Europa?


Quella che tu chiama “crisi della democrazia liberale” – e che io leggo invece come una crisi delle istituzioni democratiche internazionali – è cominciata negli stessi anni Novanta e, a questo proposito, la guerra nei Balcani non solo non è stata dimenticata, ma non è nemmeno finita.

Quest'ultimo punto, tra l'altro, si dimostra facilmente se si leggono i romanzi della letteratura balcanica nati dalla guerra che sono, per quanto mi riguarda, uno dei fenomeni più interessanti della letteratura europea del Ventunesimo secolo. 

Non potrei essere più d'accordo con te quando scrivi che uno scrittore non deve certo convertire i suoi lettori – a meno che non sia costretto a farlo da circostanze storiche tossiche per l'umanità: la guerra, la tirannia, ecc. – ma i nostri obblighi sociali includono, che ci piaccia o meno, il dovere di lasciare un'immagine abbastanza precisa del nostro tempo alle generazioni future. Questa è una delle competenze per le quali veniamo pagati; da questo punto di vista, "la generazione di guerra" degli autori balcanici si è certamente guadagnata la sua pagnotta, ha fatto un lavoro ben più che onesto.


 “Il fatto è che, in questa guerra, amico mio, siamo tutti ebrei


A riprova ulteriore aggiungo la grande urgenza con cui la letteratura contemporanea croata, serba e bosniaca ha cominciato a essere tradotta e letta in Ucraina con l'inizio dell'aggressione russa, cioè dal 2014: di fronte a una minaccia per l’esistenza collettiva ci si rende conto che è importante sapere che "qualcuno ci è passato prima di noi" e che questo qualcuno è sopravvissuto per raccontarne la storia. 

La letteratura esiste anche per creare queste comunità "transgenerazionali", per mostrare a un individuo, attraverso il tempo e lo spazio, che non è solo. Sono soprattutto queste comunità che hanno mantenuto in vita l'Europa come continuum culturale negli ultimi cinquemila anni. 

Il diario di Anna Frank, oggi

Il diario di Anna Frank da questo punto di vista è una lettera a una ragazza della cittadina di Yahidne, nella regione di ucraina Černihiv: qui,nella primavera del 2022, questa ragazza è stata usata, per tutto un mese, insieme ad altri quattrocento abitanti, come "scudo umano" in uno scantinato. Senza acqua, né ventilazione, né luce. Per tutto il mese ha tenuto il conto dei giorni e dei morti sul muro con un pennarello. Perché aveva il linguaggio adatto, le forme di comportamento pronte, perché le aveva assorbite dall'aria di quella stessa cultura che ottant'anni prima aveva guidato la penna della sua coetanea tedesca.

Quello che sto dicendo è piuttosto ovvio. Mi sento un po' stupida a ricordarle a te, figlio di una donna ebrea tedesca sopravvissuta all'Olocausto e, aggiungo, uomo che ha fartto l’esperienza del servizio militare. Cosa che a me manca. 

Io ho un'esperienza diversa, un’esperienza che mi sta facendo scrivere queste righe proprio ora. Nell'anno della guerra russo-ucraina, se il mio calendario Google è attendibile, ho fatto presentazioni in 21 paesi europei e in 93 città (il che significa non solo le grandi città, ma in tante più piccole, dalla Polonia al Regno Unito) nel tentativo, per usare le parole del mio editore italiano di “spiegare all’Occidente questa guerra e tutto quello che è successo negli ultimi 8 anni”. 

Ho visto chiaramente la rapidità e la decisione con la quale, letteralmente sotto i nostri occhi, questa guerra – che prima del 24 febbraio 2022 sembrava per tanti impensabile, e come, nel tentativo di razionalizzarla sono state dette enormi sciocchezze, ingiustificabili per un continente che una cultura universitaria millenaria – sta cambiando l'Europa. E in che modo.

Su questo si potrebbe scrivere un libro: come le ferite di diverse generazioni spinte nell'oblìo si riaprono e sanguinano di nuovo, in modi diversi, in paesi diversi; come le strutture mentali, costruite per decenni, a volte per secoli per nascondere verità scomode, si rompono, si frantumano; come i nipoti si ritrovano a usare modelli comportamentali (e paure, e traumi) dei loro nonni e bisnonni.

E come l'Europa, inaspettatamente per tanti, è ancora divisa lungo la linea del muro di Berlino. Solo che non è divisa in "vecchie" e "nuove" democrazie – come si credeva, con ottimismo, fino a ieri – ma in paesi che hanno avuto una formazione diversa, rispettivamente dalla Prima e dalla Seconda guerra mondiale. O, per semplificare ulteriormente (e lasciando a parte l'eccezione del Regno Unito), in ex imperi ed ex colonie.

Fatture storiche non pagate

Gli armadi si sono aperti e gli scheletri stanno uscendo. Tutte le lezioni non imparate e i conti della storia non saldati sono stati liberati e ci stanno volando in faccia come il mazzo di carte di Alice nel Paese delle Meraviglie. La scrittrice finlandese Sofi Oksanen ci ha raccontato la storia degli anziani preoccupati in tutto il suo paese. Dopo l’invasione russa dell’Ucraina nonni e nonne in Finlandia hanno cominciato a telefonare ai nipoti per dare istruzioni su come preparare la sacca e su come, nel caso in cui l'esercito russo fosse entrato in Finlandia, corrompere i militari "nel modo giusto" (in seguito abbiamo imparato che queste conoscenze aumentavano le possibilità di sopravvivenza anche a Buča e Izyum).


E cosi, al prezzo di un altro genocidio europeo, si rivaluta un’esperienza precendente che non è stata valutata correttamente. Credi davvero che non meriti la tua attenzione?


In tutto questo, all'altro capo del continente, un diplomatico belga cercava seriamente di convincere un mio amico (un ucraino) che sarebbe stato meglio per gli ucraini arrendersi ai russi per vivere in pace, come fece il Belgio sotto l'occupazione tedesca. "E gli ebrei belgi?", ha incalzato il mio amico, persona piuttosto caustica, "anche loro hanno potuto vivere in pace?". Quando il suo interlocutore, comprensibilmente, non ha potuto rispondere, il mio amico ha aggiunto:  "Il fatto è che, in questa guerra, amico mio, siamo tutti ebrei". L’affermazione non è stata apprezzata nell'Europa che non aveva mai prestato troppa attenzione alla storia delle "Terre del Sangue" (termine di Timothy Snyder), l'Europa della "Trizona e del Piano Marshall" (termine mio), se non dopo un anno di attenta osservazione delle Srebrenice ucraine di massa che il Cremlino aveva lanciato su scala industriale.

E cosi, al prezzo di un altro genocidio europeo, si rivaluta un’esperienza precendente che non è stata valutata correttamente. Credi davvero che questo non meriti la tua attenzione?

Vorrei che fosse chiaro chiaro: non sono alla ricerca di un "rinnovamento della giustizia storica" per il cosiddetto (si noti che questo termine è ancora in uso!) "blocco orientale". 

E Dio mi salvi dal credere nella giustizia storica, sono una ragazza grande. Ma devo ammetterlo: non posso negare che mi faccia piacere, e tanto, pensare ai parlamentari europei lituani che per anni si sono sentiti dire in modo piuttosto sgarbato da quelli delle "vecchie democrazie" – in risposta ai loro avvertimenti contro il "Wandel durch Handel" con la Russia [il "Cambiamento attraverso il commercio", ossia la teoria che rivendica il non boicottaggio dei regimi autoritari, Ndr] – che erano vittime dei fantasmi del loro passato. Quegli stessi parlamentari oggi potrebbero  passeggiare nei corridoi del parlamento europeo con magliette con scritto “Ve lo avevamo detto”.

In fondo, un  intellettuale è sempre felice di vedere la competenza vincere l'ignoranza, in qualsiasi contesto.

Un nuovo impero fascista alle porte

Al contrario, io sono investita in altro: nella memoria e nell'esperienza collettiva, senza le quali nessuna letteratura è possibile. La  guerra genocida in corso nell'Est europeo ha dimostrato che la memoria europea, e l'intera cultura del continente, così come il lavoro sulla sua memoria, non sono poi così in salute come si pensava. Migliaia di libri e film sul Nazismo e sulla Shoah non hanno aiutato l'Europa a vedere, alle sue porte, negli ultimi Trent’anni il gonfiarsi di un nuovo impero fascista; tutta questa cultura non ha impedito che l’Europa si si impegnasse, come incantata, nelle stesse misure di appeasement che aveva messo in atto negli anni Trenta nei confronti del Terzo Reich. 

Fino al momento in cui questo impero era sul punto di entrarle in casa, in Europa, direttamente su un carro armato: e lo avrebbe fatto se l'Ucraina non lo avesse fermato. 

A cosa sono serviti, ci si potrebbe chiedere, tutti quei libri e quei film se non abbiamo imparato nulla, proprio niente, non già del passato, ma nemmeno sul futuro? Perché la letteratura, se vale qualcosa, parla sempre del futuro, anche quando racconta i tempi omerici.

Non sono certo la prima a fare queste domande. Il primo che conosco ad averla posta è stato – nel 1994, quando entrambi eravamo impegnati con, come diceva il poeta polacco Czeslaw Milosz ne, "l'avventura dell'America" – Marek Edelman, una delle bussole morali dell'intellighenzia polacca della sua generazione e leader della rivolta del Ghetto di Varsavia. Edelman rimproverò i giornalisti, venuti a intervistarlo in occasione di un anniversario della rivolta del Ghetto, perché scrivevano del passato invece di parlare di quello che stava succedendo in Bosnia: "Dobbiamo fermare questa guerra, altrimenti tutto ciò per cui abbiamo combattuto allora perde di senso".  

Non pensi che sia una frase brillante? Un anno prima di Srebrenica, Edelman, un uomo che aveva dedicato mezzo secolo della sua vita alla memoria delle vittime polacche della Shoah, aveva capito senza alcun dubbio che la nuova guerra aveva già scelto "i suoi ebrei". E questo, per lui, metteva in discussione la visibilità della  storica vittoria degli eroi del Ghetto. Amleto avrebbe certamente riconosciuto questa impostazione dei tempi fuori dal comune! ("Il tempo è fuori posto! O maledetto dispetto,/ Che io sia mai nato per rimetterlo a posto!". Amleto, Atto I, scena V).

Le culture differiscono, tra le altre cose, nel loro modo di vivere il tempo: in questo senso, la formulazione di Marek Edelman è, per me, l'essenza dell'europeità. Ricordate come diceva Faulkner in Requiem per una monaca: "Il passato non è mai morto. Non è nemmeno passato"? 

Tu sei disposto quindi a liquidare  la storia, esattamente come la guerra, con una evasione rapida e un sorriso al momento opportuno, per l'universale – secondo te – inclinazione umana a idealizzare il passato (che, tra l'altro, non è così universale come ci hanno insegnato, e non tutti i paesi europei hanno il loro mito dell'età dell'oro… e questo è un altro attributo degli ex imperi).

Questo rieccheggia per me a quello che scrivi sulla fuga: anch'io conosco questo metodo per salvarsi da un trauma, sia esso ereditario, familiare o collettivo (la letteratura, del resto, è un altro modo per fare la stessa cosa, almeno finché non si viene perseguitati per ciò che si scrive); anch'io l'ho inserito nel mio repertorio psicologico, fino a una fuga forzata nel 2014 (per fortuna non lunga, pochi mesi) da dei sicari. E, spoiler alert: chi vuole ucciderti non cenerà con con te, Arnon, e ti consiglio di non sederti a tavola con loro se all'improvviso ti invitano.

Ma da quel 2014 ho imparato un'altra lezione: questo metodo non funziona più.

Affinché la fuga abbia senso, chi fugge deve innanzitutto avere un posto dove fuggire, deve avere una mappa mentale delle "zone di sicurezza" che gli vengono garantite all'interno di un ordine di civiltà affidabile, mantenuto e difeso da qualcun altro. 

In questo secolo, l'umanità comincia a non avere quasi più queste "zone di sicurezza", almeno nella parte del villaggio globale che ha leggi, polizia, elettricità e acqua corrente: l'Europa e gli Stati Uniti stanno smettendo, sotto i nostri occhi, di essere luoghi sicuri. Quando ci incontreremo, vi racconterò per esempio di come in Germania, Polonia e altri paesi dell'Unione europea gruppi di neonazisti filorussi sono sempre più spavaldi quando si tratta di terrorizzare le donne ucraine rifugiate, mentre la polizia non sa come fermarli. Temo che restino solo  l'Australia e il Canada occidentale , ma dato il numero previsto di rifugiati climatici entro il 2050...

Non abbiamo via d'uscita, Arnon. È questo il punto. Non abbiamo nessun altro posto su questo pianeta dove scappare da chi vuole uccidere qualcosa o qualcuno. Ed è per questo che il mio paese sta combattendo, con la stessa ferocia del Ghetto di Varsavia di ottant'anni fa: siamo stati i primi a rendercene conto.

Questa lettera è cresciuta fin troppo, fino a raggiungere una lunghezza indecente. Con rammarico devo lasciare fuori l'argomento che trovo più doloroso nel destino dell'Europa, e sul quale (se l'invasione russa del 24 febbraio 2022 non avesse sconvolto tutti i piani) starei ora finendo un nuovo romanzo che sto portando avanti con amore da molti anni: cioè la fine della cultura del libro, o, più in generale, dell'intero progetto illuminista.

Un giorno, quando avremo vinto questa guerra, finirò quel romanzo. Per il momento, la fuga in questo romanzo non mi è possibile, almeno fino alla nostra vittoria. La lingua stessa nella quale scrivo è a rischio: nei territori occupati dalla Russia, si viene uccisi per averla parlata, tutto quello che è scritto in questa lingua viene eliminato dalle biblioteche e dagli archivi. È un messaggio inequivocabile di ciò che attende me e la mia cultura in caso di sconfitta. 


Roma-Parigi-Canossa-Magdeburgo. Questo quartetto racchiude per me tutto ciò che di più prezioso l’umanità deve all’Europa


È per questo che tanti scrittori, musicisti, attori e scienziati si sono offerti volontari per andare al fronte: prima di avere di nuovo l'opzione di fuga per noi stessi, dobbiamo costruire, con le nostre mani,  la "zona di sicurezza" nella quale poter  fuggire. E per farlo, dobbiamo vincere questa guerra e respingere l'assalto in corso a noi stessi e a l’Europa tutta. 

Quindi l'ultima cosa che ti chiedo di fare, visto che non sei certo che l'Europa "sia più di una semplice geografia" – e qui mi perdo, la geografia di cosa? La pianura europea? Senza le isole britanniche, ma includendo gli Urali e il Kazakistan? la Grande Steppa? Dove sono esattamente i confini geografici della tua Europa e, ancora, dove dopo il XX secolo, si può ancora trovare una geografia indipendente dalla mano del cartografo? Le mappe sovietiche del 1985 con cui la Russia entrava in Ucraina, confermano la convinzione che nulla sarebbe potuto cambiare nel nostro paese in trent'anni di indipendenza, non dimostravano forse il definitivo tramonto del pensiero nato dall'epoca delle scoperte geografiche? – Si, l'l’ultima cosa che voglio fare è ricordare la geografia. Con i nomi. 

Dovrei cominciare con quelli che costituiscono i paletti simbolici della mia Europa, e che tutti conoscono, anche se non sempre con la stessa veste: Roma-Parigi-Canossa-Magdeburgo. 

Roma, in questo quartetto significa lo stato di diritto, Parigi i diritti umani (la prima Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino), Canossa la separazione dell'autorità ecclesiastica da quella secolare (grazie, Enrico IV, che non siamo più obbligati, come i russi, a divinizzare i nostri governanti) e Magdeburgo per l'autorità del governo locale: le città stato sono ovviamente un'invenzione dell'Antica Grecia, ma iniziamo a considerarli qui dal Diritto di Magdeburgo

Questo quartetto racchiude per me tutto ciò che di più prezioso l'umanità deve all'Europa, questo quartetto è  la ragione —nonostante le crociate, le pulizie etniche e le innumerevoli  barbarie presenti nel suo curriculum — per amare, custodire e difendere l'Europa, fino alla fine, a costo, se necessario, della propria vita.

Torniamo alla geografia

In un articolo su The Atlantic (“Incompetence and Torture in Occupied Ukraine”), Anne Applebaum fa un'importante osservazione: gli occupanti russi si sono stupiti, senza riuscire a capirlo, del fatto che  in Ucraina i sindaci e i capi delle comunità rurali siano, di fatto, eletti dai loro pari e non nominati "dall'alto", e che continuino a rispondere ai loro elettori anche quando perdono la comunicazione con Kiev, cioè (secondo la comprensione russa), con i loro "superiori". Purtroppo, quando i russi non capiscono qualcosa, la distruggono. Questi individui costituiscono, sotto l'occupazione, il gruppo più a rischio: sono proprio loro a registrare la percentuale maggiore di arresti, morti e sparizioni. 

Ho letto il testo di Anne Applebaum come un requiem per gli scritti di Fukuyama degli anni Novanta: dice chiaramente che la democrazia non può essere esportata come le patate. Mi è venuto in mente che il Diritto di Magdeburgo è durato per quasi 600 anni in Ucraina: ha cominciato a essere utilizzato nel XIII secolo, durante la dinastia  Galizia-Volinia, ed è stato liquidato dall'Impero russo nel XVIII secolo insieme alle altre istituzioni dell'Etmanato cosacco autonomo. .


Pgni città (paese, villaggio) dell’Ucraina orientale che si affaccia verso il nemico è una fortezza di frontiera. E il futuro dell’Europa dipende direttamente dalla loro capacità di resistere o cadere


Se si guarda alla mappa di questa guerra, ci sono alcune battaglie particolarmente drammatiche, già leggendarie: Hostomel', dove il 24 febbraio 2022 i paracadutisti russi non sono riusciti a prendere il controllo dell'aeroporto, ritirandosi, ignari del fatto che l'unica forza che si opponeva loro era la difesa territoriale locale; Černihiv, la città delle chiese millenarie iscritta nella lista del patrimonio culturale mondiale dell'UNESCO, che i russi hanno raso al suolo dal 24 febbraio all'1 aprile, come è successo poi per Mariupol e Bachmut, senza pero’ conquistarle. E poi Nižyn che ha resistito sotto assedio, come nel Medioevo, per un mese: quando il cibo cominciava a scarseggiare, i contadini facevano entrare in città latte e farina per vie traverse e li distribuivano ai residenti e hanno tenuto testa agli invasori. E non posso non dire che queste città sono state per secoli città di cittadini liberi: Hostomel' dal 1614, Černihiv dal 1622, Nižyn dal 1625. Hanno difeso il loro diritto di essere liberi.

Il confine dell'Europa si trova ora – e non in senso metaforico – qui, lungo la vecchia linea orientale del Diritto di Magdeburgo: ogni città (paese, villaggio) dell’Ucraina orientale che si affaccia verso il nemico è una fortezza di frontiera. E il futuro dell'Europa dipende direttamente dalla loro capacità di resistere o cadere.

Non so se questo sia "più di una semplice geografia", perché non so cosa sia la "semplice geografia". Ogni tanto pero’ ripeto a me stessa i nomi delle città, proprio come si ripetono  i nomi delle persone amate: per goderne il suono, la materialità fisica, l’elasticità e la morbidezza delle consonanti, l'evanescenza delle vocali: Hostomel'. Černihiv. Nižyn. Ogni volta la gratitudine mi fa tremare. Sarei molto felice se anche tu ricordassi questi nomi. 

Con i più cordiali saluti,

Oksana Zabužko

Questa lettera è una delle "Lettere sulla Democrazia" un progetto del 4°Forum sulla Cultura Europea che si tiene nel giugno 2023 ad Amsterdam. Organizzato da De Balie, il Forum è centrato sul significato e sul futuro della democrazia in Europa, e riunisce artisti, attivisti e intellettuali per esplorare la democrazia come espressione culturale piuttosto che politica.
Per le "Lettere sulla democrazia", cinque scrittori immaginano il futuro dell'Europa in una catena di cinque lettere iniziata da Arnon Grunberg. Gli scrittori – Arnon Grunberg, Drago Jančar, Lana Bastašić, Oksana Zabužko e Kamel Daoud – si ritrovano durante il Forum, in una conversazione sull'Europa che ci attende e sul ruolo dello scrittore in essa.

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