Patti chiari sull’allargamento

Pubblicato il 30 Luglio 2010 alle 13:16

Il premier britannico David Cameron è "arrabbiato" per l'ostruzionismo dell'Unione alla procedura d'ingresso della Turchia, e ha promesso che "combatterà" al fianco di Ankara. Chi si chiedeva il motivo di una presa di posizione tanto netta e potenzialmente rischiosa per i rapporti con Francia e Germania ha avuto la sua risposta poco dopo: l'Europa ha bisogno del sostegno della Turchia in un gran numero di faccende, in primo luogo le nuove sanzioni contro il programma nucleare iraniano.

Il do ut des di Cameron è un implicito riconoscimento del successo della nuova strategia di Ankara, che abbandonato il suo inutile corteggiamento europeo punta a imporsi come ago della bilancia del Medio Oriente, ma non è l'unico a coinvolgere i processi di adesione all'Ue. Dopo la sentenza della Corte internazionale di giustizia che ha legittimato l'indipendenza del Kosovo respingendo il ricorso della Serbia, i ministri degli esteri di Italia, Slovacchia e Austria hanno sottolineato la necessità di curare la ferita ai sentimenti europeisti di Belgrado, accelerando come risarcimento la sua pratica di adesione.

Nella coda per l'ingresso nell'Unione, del resto, sorpassi e baruffe sono da sempre la regola. Diversi candidati di lunga data si sono lamentati per la corsia preferenziale accordata all'Islanda quando ha cercato rifugio nell'euro dalla tempesta finanziaria (ora che è tornato il sereno, però, Reykjavik sta facendo marcia indietro, anche a causa della vicenda Icesave – uno scambio andato male, in questo caso). Tra questi la Croazia, che pur essendo più avanti rispetto ad alcuni dei paesi che hanno beneficiato dell'ultima fase di allargamento, è stata finora fermata da una disputa con la Slovenia per pochi chilometri di acque territoriali.

In questi giorni ha visto la luce il Servizio europeo di azione esterna, la macchina diplomatica introdotta dal trattato di Lisbona per permettere a Bruxelles di aumentare la propria influenza all'estero. Costi, dimensioni e conflitti sulle aree di competenza stanno già sollevando parecchi dubbi sull'opportunità di un simile sforzo in tempo di crisi. Eppure ci sarebbe un modo più semplice di ottenere lo stesso risultato: stabilire una volta per tutte criteri e procedure di adesione chiari e uguali per tutti, sottraendo la decisione ai capricci e ai mutevoli interessi degli stati membri. L'attrazione esercitata dalla prospettiva dell'adesione è il più potente strumento di soft power a disposizione di Bruxelles nei teatri che la circondano. Una politica iniqua e inaffidabile è invece il modo migliore di alienarsi alleati chiave, come ha dimostrato l'Ucraina e come rischia di confermare anche la Turchia. Gabriele Crescente

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