Analisi Patto europeo sulla migrazione e l’asilo | 1

Gli avvocati dei rifugiati denunciano “una devastante erosione dei diritti”

Se approvate, le proposte presentate dalla Commissione europea nel recente Patto sulla migrazione e l’asilo avranno un impatto sulla vita o sul lavoro di diverse categorie di persone. In questa serie di articoli ne abbiamo incontrate quattro, partendo dagli avvocati esperti in diritto d’asilo e dell’immigrazione.

Pubblicato il 18 Novembre 2020 alle 16:45

Dominique Andrien mi ha avvertito: come molti avvocati che praticano il diritto d’asilo e dell’immigrazione, non ha ancora avuto il tempo di immergersi nella lettura del Patto sulla migrazione e l’asilo presentato dalla Commissione europea lo scorso 23 settembre. Titolare di uno studio a Liegi, in Belgio, Andrien ha cominciato a esercitare trent’anni fa, quando “succedeva raramente che un avvocato invocasse il diritto europeo”. Oggi questo diritto è onnipresente, ma ciò che di buono ha portato – in particolare nella difesa dei diritti fondamentali degli stranieri – viene spesso ignorato da governi e autorità nazionali. E intanto gli stati membri, attraverso il Consiglio dell’Unione europea, tentano di inserire in regolamenti e direttive priorità politiche sempre più inconciliabili con i diritti fondamentali sui quali dovrebbe fondarsi l’Ue. Così ogni nuova proposta della Commissione, risultato di un compromesso al ribasso tra gli stati membri, è accolta con diffidenza dagli avvocati.

Tra questi c’è Tristan Wibault, anche lui belga. “Aspetto di vedere cosa diventeranno le proposte contenute nel patto”, spiega, “ma per ora sembrano in linea con ciò che già esiste. Negli ultimi anni abbiamo assistito a una moltiplicazione delle procedure differenziate e dei casi in cui i termini per i ricorsi vengono abbreviati”. Il patto propone di abbreviarli ulteriormente, in particolare per i ricorsi nel quadro delle procedure di asilo alla frontiera.

L’approccio “hotspot”

L’accento posto sulla frontiera è uno degli aspetti che più preoccupano l’avvocata italiana Anna Brambilla, membro dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi). Esercitando nel paese che, insieme alla Grecia, ha permesso di collaudare l’approccio hotspot, Brambilla ne conosce bene l’impatto sui diritti delle persone: “Un tempo potevamo trasmettere le informazioni legali direttamente, attraverso incontri e colloqui. Ormai non è più possibile. Ci siamo dovuti inventare nuovi modi di comunicare, spesso informalmente, con le persone. Il problema è far sì che la loro volontà, espressa attraverso un mezzo informale, possa poi essere considerata valida, per esempio ai fini della formalizzazione di una domanda di protezione”.

Gli hotspot diventano, nell’ultima proposta dalla Commissione, un pilastro delle politiche migratorie e di asilo europee, la cornice di una massiccia operazione di smistamento di chi arriva alle frontiere esterne dell’Unione. “Tutto avverrebbe in luoghi chiusi, inaccessibili agli avvocati. Questo minerebbe ancora di più il diritto alla difesa”, denuncia Brambilla. 

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Dopo il 2015 è chiaramente cominciata una nuova fase. Gli stati hanno affrontato l’immigrazione con molta più violenza, e i giudici hanno fatto un passo indietro.

Tristan Wibault, avvocato

Altra novità “sconvolgente, dal punto di vista non solo giuridico ma della storia del diritto d’asilo europeo”, sostiene Brambilla, “è il modo in cui si accentua l’esame dell’ammissibilità – e non del merito – di una domanda di protezione internazionale. Quest’erosione progressiva dei diritti, già in corso in Grecia per esempio, in Italia finora è stata arginata dalla costituzione”.

Proprio alla costituzione – belga in questo caso – si sono appellati Tristan Wibault e il suo collega Pierre Robert in un ricorso di annullamento, presentato nel 2018 dal foro degli avvocati francofoni e germanofoni insieme a sette onlus. Nel ricorso, ancora pendente, si denunciano le procedure estremamente complesse, i termini di ricorso troppo brevi e le garanzie procedurali eccessivamente deboli introdotte nel diritto belga a seguito della trasposizione di due direttive europee del 2013 riguardanti le domande di protezione internazionale.

Il ruolo della Corte di giustizia dell’UE

Se le costituzioni degli stati membri possono rappresentare un argine alla “devastante erosione dei diritti” promossa a livello europeo, come la definisce Brambilla, in altri casi è proprio a un’istituzione europea, la Corte di giustizia dell’Ue, che gli avvocati si rivolgono nella speranza di vedere confermata la loro interpretazione del diritto comunitario, di fronte a tribunali e amministrazioni poco ricettivi. “Ci sono state una serie di sentenze che hanno avuto un impatto molto positivo sull’esame delle richieste di asilo”, osserva Wibault, “penso per esempio alla sentenza del 2013 sulla protezione delle persone sulla base del loro orientamento sessuale”. Andrien cita invece il ruolo fondamentale della Corte di giustizia nell’affermare che il diritto a un ricorso effettivo (articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali) è parte integrante del diritto dell’Unione. 

Il problema, sottolinea Andrien, è che “le legislazioni nazionali sono raramente modificate sulla base di quello che afferma la Corte di giustizia”. Gli stati membri fingono di non sentire e proseguono nell’elaborazione di politiche e procedure “sbagliate, distorte, orientate alla repressione”, denuncia Brambilla. Wibault è invece preoccupato da un’altra tendenza, che rileva anche nella Corte europea dei diritti umani: “Alcune sentenze più recenti sono estremamente prudenti, o tornano su cose che sembravano acquisite, o sono poco chiare. Penso che i giudici non siano immuni al contesto politico generale. Dopo il 2015 è chiaramente cominciata una nuova fase. Gli stati hanno affrontato l’immigrazione con molta più violenza, e i giudici hanno fatto un passo indietro. Una decisione della Corte di giustizia che trovo incredibile è il rifiuto di esaminare la legalità dell’accordo tra l’Unione europea e la Turchia. È tutto molto frustrante, ma speriamo sia solo una fase”. 

Frustrazione : è il sentimento che accomuna i tre avvocati. “Nel nostro lavoro” – è il timore di Brambilla – “saremo sempre più stretti tra, da un lato, procedure europee che vogliono che tutto sia più veloce e si svolga in luoghi chiusi e, a livello nazionale, procedure lentissime, che stritolano le persone”. “A noi avvocati sono imposti termini sempre più brevi, mentre l’amministrazione e i tribunali non rispettano nessun termine”, conferma Andrien. “Bisogna assolutamente migliorare l’effettività delle procedure. Deve esserci un potere di ingiunzione diretta, che obblighi lo stato a rispettare i termini e le decisioni dei tribunali. Il Belgio è stato appena condannato dalla Corte europea dei diritti umani per aver rimpatriato nel 2017 dei sudanesi nonostante un giudice ne avesse vietato l’espulsione. Se l’amministrazione non rispetta le decisioni dei tribunali, dove andremo a finire?”.

Una cosa, invece, non turba questi avvocati: gli attacchi che subiscono – “da sempre!”, assicura Andrien – da parte dei politici. “Dal 2010 l’amministrazione belga ha scritto almeno tre volte al mio ordine per lamentarsi dei miei ricorsi”, sorride Andrien. “Ma le intimidazioni non mi fanno né caldo né freddo. Anzi, mi confortano nell’idea che faccio bene il mio lavoro”.

Leggi gli altri articoli della serie.

in Zusammenarbeit mit der Heinrich Böll Stiftung – Paris


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