Il futuro dell’Europa si sta decidendo. Non necessariamente al prossimo consiglio europeo: i leader dei Ventisette, che si riuniscono dal vivo a Bruxelles il 17 luglio dopo mesi di videoconferenze, faranno fatica a trovare in poche ore un accordo su un piano di ripresa che potrebbe cambiare il corso della storia come aveva fatto il trattato di Roma, che aveva richiesto mesi di trattative. Ma nelle prossime settimane ci sarà un accordo, perché tutti sono consapevoli che, nel caso contrario, a una crisi economica e sociale senza precedenti si aggiungerebbe una grave crisi politica.
C’è un altro motivo che giustifica un accordo: i cittadini europei, gli attori economici e sociali e i mercati finanziari sono in gran parte favorevoli. Ci sono ancora grandi perplessità da superare: nei Paesi Bassi, che si stanno avviando verso le elezioni, in Austria, dove l’estrema destra sta alzando la voce, e nei paesi nordici che temono di perdere influenza in un’Unione europea divenuta più continentale che atlantica. Ma questi paesi sanno che, in un mondo tentato dal protezionismo, è troppo urgente rafforzare il mercato interno europeo e il suo potenziale di crescita. Gli austriaci, gli olandesi e i nordici hanno più che mai bisogno dei mercati spagnolo, francese e italiano per mantenere il loro tenore di vita. I dirigenti danesi e svedesi hanno dato segnali in tal senso. E Angela Merkel, che presiede il consiglio dell’Unione europea, ha avvisato i primi ministri olandese e austriaco che la loro resistenza li porterebbe all’emarginazione dall’Europa.
Si raggiungerà quindi un accordo prima della fine dell’estate su un importo compreso tra i 500 e i 750 miliardi di euro, principalmente sotto forma di sovvenzioni. Naturalmente, l'accordo menzionerà che l’aumento del bilancio europeo così come i massicci trasferimenti correlati sono eccezionali e temporanei, ma in realtà costituirà un precedente, proprio come il New Deal di Franklin Delano Roosevelt, originariamente limitato e temporaneo, aveva cambiato in modo permanente le regole del gioco negli Stati Uniti. Questo accordo sfaterà tre tabù spostando il tetto del bilancio europeo, che per vent’anni è stato limitato all’1% del Pil dell’Ue, organizzando una forte solidarietà di bilancio tra i paesi più colpiti da Covid-19 e gli altri, e riaprendo il dibattito sulle risorse proprie e sull’indebitamento diretto dell’Ue per diversi decenni, stabilendo di fatto nuove solidarietà.
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La potenza del XXI secolo
Si creeranno allora le condizioni per una riforma istituzionale impensabile non molto tempo fa, e la conferenza sul futuro dell’Europa, che oggi non ha nessuna intenzione di cambiare il Trattato, potrebbe, contro ogni pronostico, diventare un nuovo momento costituzionale. L’intuizione di Emmanuel Macron di una rifondazione dell’Unione europea diventerebbe allora realtà. E l’Ue potrebbe affermarsi come la potenza democratica, industriale, sociale, ecologica e culturale del XXI secolo.
Tutto questo sarà possibile solo se il piano di ripresa dovesse andare a buon fine. Il piano deve portare a un forte rimbalzo e a una rapida e profonda trasformazione dell’economia europea, con la conseguente massiccia creazione di posti di lavoro a valore aggiunto in tutta l'Unione. Questo presuppone che si debba pensare per la prima volta alla pianificazione del territorio europeo, altrimenti gli squilibri tra centro e periferia continueranno a crescere rapidamente. È anche fondamentale che i cittadini attribuiscano questo rimbalzo alla ripresa europea, il che non è scontato. Uno studio della commissione europea che mostra l’impatto dei fondi strutturali sulla creazione di ricchezze e di posti di lavoro, ha evidenziato che la correlazione non era evidente per i cittadini a causa della mancanza di sostegno politico da parte dei governi nazionali.
Franklin D. Roosevelt aveva ben valutato questo rischio quando ha creato programmi di ripresa federali settoriali, affinché i cittadini statunitensi sapessero a chi dovevano la ripresa. Oggi, l’Unione ha lo stesso obiettivo. Il piano di ripresa non può limitarsi a sovvenzionare piani di ripresa nazionali, anche se questi sono in linea con gli obiettivi europei di transizione climatica e digitale e di autonomia strategica. L’Europa deve dotarsi di veri programmi transnazionali brevettati dall’Ue che lascino il segno e che dimostrino la loro rilevanza economica e sociale, altrimenti è inesistente.
Elaborare insieme la ripresa
Alcuni esempi concreti che parlerebbero a tutti: un programma continentale di ristrutturazione delle abitazioni accessibile a tutti i cittadini europei che promuova materiali avanzati sostenibili e riciclabili; un piano per dotare tutti i laboratori e gli ospedali europei di microscopi di ultima generazione, originariamente digitali e intelligenti che consentano di evidenziare e monitorare meglio pandemie ed epidemie; una piattaforma di distribuzione digitale per i media del continente che permetta loro di recuperare il valore economico oggi acquisito dai Gafa (Google, Apple, Facebook e Amazon, meglio conosciuti come i giganti del web) ed evitare così il fallimento collettivo.
Tuttavia, affinché gli attori che dovranno attuarli possano appropriarsene rapidamente, questi progetti non dovranno essere sviluppati solo a Bruxelles. Si tratta di co-elaborarli sul campo con i partner sociali, i cittadini e gli enti pubblici, soprattutto le regioni, e di conferire loro una rilevanza settoriale. È qui che i 14 ecosistemi industriali europei annunciati dalla presidente della commissione Von der Leyen e dal commissario Thierry Breton potrebbero incidere. Per il successo della ripresa, è urgente che gli europei si mettano d’accordo non solo sulle cifre, ma anche su un nuovo modus operandi. Questo è ciò che Jean Monnet aveva capito quando ha istituito una commissione all’indomani della guerra, riunendo l’amministrazione, il mondo del lavoro e i sindacati nella strategia di ricostruzione, ed è ancora più che mai attuale settant’anni dopo. Solo allora potrà avvenire la rinascita dell’Europa.
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