Javier Solana (a sinistra) e Ali Larijani (secondo da sinistra) durante una dichiarazione congiunta a Madrid nel maggio 2007. AFP

Teheran e Bruxelles sempre più lontane

Da anni i 27 privilegiano la via del negoziato tra l'Occidente e Teheran. Ma la reazione iraniana mostra i limiti di questo approccio e contraddice le speranze di cambiamento democratico, perché le culture politiche restano molto distanti.

Pubblicato il 26 Giugno 2009 alle 13:39
Javier Solana (a sinistra) e Ali Larijani (secondo da sinistra) durante una dichiarazione congiunta a Madrid nel maggio 2007. AFP

Dal 2005 al 2008 Javier Solana, l'Alto rappresentante per la politica estera dell'Unione europea, ha visitato a Teheran con i ministri degli Esteri francese, inglese e tedesco per difendere gli interessi dell'Unione europea e degli Stati Uniti. Insieme hanno cercato di convincere Ali Larjani, all'epoca negoziatore per la questione nucleare, della necessità di concludere degli accordi precisi sull'aspirazione di Teheran a possedere la bomba atomica. Solana doveva fare in modo che gli Stati Uniti e l'Aiea, l'Agenzia internazionale dell'energia atomica, non rompessero le relazioni con l'Iran. A quanto pare l'Europa non è riuscita a vincere questa battaglia. Ma tanto tergiversare ha costretto le autorità iraniane a modificare il loro progetto. E questo può essere considerato un successo diplomatico.

Oggi i dirigenti francesi, inglesi e tedeschi denunciano apertamente le irregolarità che hanno caratterizzato le elezioni presidenziali iraniane del 12 giugno. Washington invece non vuole unirsi alla linea dura. Obama ha probabilmente le sue ragioni, anche se potrebbe pagare cara questa presa di distanza. Mahmud Ahmadinejad assicura che in Iran esiste un equilibrio, e sottolinea che anche lui deve accettare la sorveglianza dell'Assemblea degli esperti, del Consiglio dei guardiani, del Consiglio del discernimento e deve rispettare le decisioni della guida suprema in materia di difesa.

La distanza geografica tra Bruxelles e Teheran è grande, più di 4mila chilometri; ma la distanza mentale è ancora maggiore. Europei e americani cercano di affrontare una situazione molto delicata, originata da una lunga serie di brogli. Si sforzano di farlo attraverso negoziati e meccanismi preesistenti. Queste discussioni e i verbali che ne riportano il contenuto sono il metodo giusto per superare le controversie tra gli Stati e i gruppi di interesse. Ma il messaggio iraniano è un altro: è quello dei colpi d'arma da fuoco sparati dai bassidji sui manifestanti. La guida suprema crede di poter contare su dieci milioni di questi guardiani, reclutati alla meno peggio, disorganizzati, indisciplinati. In realtà nel paese ce ne sono al massimo 500mila.

L'Iran cerca di ottenere l'autonomia energetica grazie al nucleare. Correndo dietro questo obiettivo, le autorità iraniane hanno perso di vista gli strumenti a loro disposizione. La Russia, la Cina, il Pakistan e l'Iran non fanno parte di quelle che vengono definite con disprezzo le "democrazie convenzionali". Al contrario degli Stati Uniti, della Francia, del Regno Unito e dell'India. È questa la grande differenza.

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OPINIONI

La rivolta iraniana e i fantasmi dell'Occidente

La stampa europea è divisa su quale sia il miglior modo di reagire agli eventi in Iran. David Charter del Times apprezza la linea dura dell'Europa in confronto al silenzio dell'amministrazione Obama. "Parigi, Praga, Helsinki, L'Aia e Stoccolma hanno convocato gli ambasciatori iraniani per chiedere spiegazioni", riporta, sostenendo che questo approccio è determinato dalla nostra storia recente. I ricordi della rivoluzione di velluto in Cecoslovacchia, dell'ascesa di Solidarnosc in Polonia e del movimento arancione in Ucraina sono tutti "fattori che spiegano perché la condanna della repressione iraniana da parte dell'Unione europea è stata così rapida e coordinata".

Sul Guardian Lionel Beehner critica "i sognatori della stampa europea" che hanno predetto l'imminente collasso dell'Iran. Gli occidentali, sostiene Beehner, tendono a vedere in ogni protesta all'estero una presa della Bastiglia". I regimi non cadono così facilmente. Le previsioni che davano per spacciata la giunta birmana in occasione delle proteste dei monaci nel 2007 si sono dimostrate errate. La cosiddetta rivoluzione arancione ucraina non è stata altro che uno "scambio di poltrone". L'occidente farebbe meglio a non interferire, conclude Beehner. "Ogni volta che la Casa bianca benedice un colpo di stato gli dà il bacio della morte".

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