La mia generazione, quella che io chiamo dei “selvaggi ragazzi dingo”, l’ultima generazione di bambini sovietici, è stata forse la più liberale d'Europa orientale. Lo scrittore della nostra generazione Viktor Pelevin l’ha definita Generazione P, da “Pepsi”. Però è durata poco: si è presto trasformata nella “generazione cannibale”.
Andiamo con ordine: il 10 aprile 1988, l’allora segretario generale del Pcus, Michail Gorbačëv, propose di limitare e poi distruggere le armi atomiche. Per ricordare l’avvenimento, venne coniata una moneta: da un lato c’era il rublo dell’Urss, dall’altra il dollaro americano. La moneta era ricavata da missili nucleari distrutti, composti da una lega particolarmente leggera, due volte e mezzo più leggera dell’argento. “Quando la tieni in mano provi una strana sensazione: ti aspetti che sia più pesante, ma è leggera come una piuma”, mi disse un amico.
Questo era il nostro liberalismo: in parte sovietico, in parte americano. Hai l'impressione che sia molto pesante, difficile da distruggere, ma è come polvere soffiata via dai venti della storia. In trent'anni, la nostra generazione è passata dall’essere la più liberale alla più conservatrice: siamo stati travolti da un revanscismo sfrenato
Temo si tratti di un revanscismo più pronunciato di quello est-europeo. La moneta ha due facce.
Nel 1988 noi, figli della perestrojka, eravamo più liberali degli occidentali, più americani degli americani: credevamo così tanto nei loro valori perfino da spaventarli. Stavamo regalando loro non solo il paese dei nostri padri, non solo le nostre anime: stavamo regalando loro il futuro. Il nostro futuro era il loro: mossi da un entusiasmo mistico, glielo offrivamo. Accadde tutto dopo il 1989-1991. Solo che noi eravamo anche l’altra faccia della moneta. Non eravamo consapevoli – e non so quanto lo fossero loro – della “grande trasformazione”.
Il mondo liberale e tutto il capitalismo, che negli anni Sessanta e Settanta sembrava in crisi, si ridestò per via di uno degli eventi chiave del Ventesimo secolo: la caduta del comunismo, causata soprattutto da noi. Noi, gente dell’Est, lo abbiamo costruito e poi distrutto.
Siamo diventati una sorta di incredibile trasfusione energetica: dall’infusione di mercato, capitale e risorse umane, al folle entusiasmo di cui ogni regime ha bisogno. Per dirla con un motivetto che eravamo soliti intonare: “Il giovane vampiro ha ricevuto un’altra botte di sangue fresco”. Abbiamo resuscitato l’intero sistema. E ha funzionato. Ma nel profondo, non era così.
In questa transizione eravamo soldati che combattevano su tutti i fronti e perdevano tutte le battaglie possibili e immaginabili. Avremmo potuto combattere e vincere qualsiasi sfida:le abbiamo perse tutte
Da qualche parte, in qualche modo, la “catena d’amore” si era spezzata. Anche se già allora i nuovi idoli come il nazionalismo, la chiesa ortodossa e il capitale degli oligarchi non preannunciavano nulla di buono. È così che chiudo il mio libro Sălbaticii Copii Dingo ["I selvaggi ragazzi dingo", non tradotto in italiano, ndr]: con un profondo disagio e angoscia, con la sensazione che si stia aprendo un’epoca di vendetta.
Recito i versi del poeta romantico romeno George Bacovia, con questo tormentato presentimento:
“Io devo bere, obliare ciò che ciascuno ignora
È il tempo … tutti i nervi t’invocano…
Vieni dunque una volta, tu maestoso futuro.”
Generazione cannibale
Non più di cinque anni fa scrivevo che sarebbe arrivata un’epoca di vendetta: mi era ormai chiara l’idea che la generazione delle grandi speranze si fosse tramutata nella generazione della disperazione. Francamente non sapevo che aspetto avrebbe avuto questa vendetta. Avevo qualche scenario in mente, ma certo non la guerra. Eppure la definivo già “generazione cannibale”. Il desiderio, terribile, di vendetta si innesta sul risentimento.
Lasciate che vi ricordi che, secondo Nietzsche, il risentimento è uno stato di rabbia e odio, in cui si ritiene di essere vittima di un’ingiustizia, alla quale non vi è la possibilità di porre rimedio. Diversamente dalla rabbia e dall’invidia, il risentimento contiene una sorta di forza creativa: genera un sistema di valori che, da un lato, giustifica l’eccezionalità di colui che soffre e, dall’altro, ne spiega le disavventure, causate da nemici abietti. Questo non vuol dire che la vendetta desiderata non abbia alla base anche una realtà sociale, politica ed economica. Ce l’ha eccome.
Di alcune cose ero certo: in questa transizione eravamo soldati che combattevano su tutti i fronti e perdevano tutte le battaglie possibili e immaginabili. Avremmo potuto combattere e vincere qualsiasi sfida: le abbiamo perse tutte. Dall’istruzione alla salute, dalle infrastrutture alla mobilità sociale, dalla famiglia alla carriera, dalla sicurezza alla stabilità. Tutto: abbiamo visto il nostro tessuto sociale ridursi a brandelli e perso la nostra autonomia, sul piano politico, sociale, intellettuale, ovunque. Il problema e la soluzione d’un tratto non erano più in noi, si trovavano altrove. E non sono una persona che tende a dre la colpa agli altri. Ma abbiamo perso, ci siamo trasformati nella nostra stessa impotenza. Abbiamo perso il nostro significato storico.
All’euforia degli anni Novanta è subentrato un vasto processo di automortificazione. “Indottrinati”, “sottosviluppati”, “incivili”. Così eravamo etichettati. Abbiamo subito umiliazioni sociali ed economiche in abbondanza: una quantità enorme di posti di lavoro persi, lavori non qualificati, lavori malpagati, migrazione economica, famiglie e rapporti sociali distrutti, industria, istruzione e sanità in rovina. Un’insicurezza totale che è il risultato di una terapia d’urto.
Umiliazione senza fine
Ci chiedevano di “cambiare mentalità”, eravamo percepiti come subumani. Invece dell’integrazione naturale, con i nostri lati positivi e negativi, ci offrivano, senza fine, nuove forme di violenza e umiliazione. Umiliazione che voleva dire rinunciare a tutto ciò che eravamo, vergognarci di noi stessi e del nostro passato. Eravamo considerati analfabeti politici. Noi, che avevamo saputo sbaragliare un regime dittatoriale.
La durezza e la violenza della transizione, totalmente ingiusta e iniqua, a livello politico, sociale ed economico, fu per gran parte della società umiliante e disumanizzante. Le vecchie umiliazioni e disumanizzazioni erano sostituite da nuove, forse persino più profonde, che ci prosciugavano da ogni goccia di speranza e significato. Molti hanno scelto il silenzio, e ora aspettano la vendetta. La transizione è divenuta una sorta di “controrivoluzione”: la vittoria di una sparuta minoranza sulla maggioranza.
Questo è: e ci sentivamo traditi, usati, abbandonati, mortificati. Ma soprattutto sconfitti. Ripeto, io non biasimo mai gli altri. Ma la cosa peggiore è che abbiamo perso completamente il controllo sui nostri figli e sulla società intera. La maggior parte dei nostri figli a Est non ci vuole più stare, il loro futuro è “fuori”. Ecco cosa siamo riusciti a fare. Il risultato? Stati sequestrati da oligarchi e multinazionali, dai nuovi proprietari da élite predatrici; popoli abbandonati e trasformati in nuovi schiavi, istituzioni-proprietà che funzionano solo per le piccole élite, ed enormi masse i cui interessi non sono rappresentati e la cui voce non viene ascoltata.
Putin, l’inevitabile “populista”
Questa moltitudine – tenuta lontana dai meccanismi di accesso alle decisioni politiche, alla rappresentanza, alla redistribuzione, alla mobilità sociale, a istruzione, sanità, protezione sociale, a un lavoro dignitoso e dalla politica – prima o poi si vendicherà. E in questa logica era inevitabile l’avvento del “populista” Putin, che avrebbe diretto questo immenso scontento verso ambizioni e obiettivi aberranti, revanscisti e violenti. Parlando del regime di Putin, va detto che costui è un prodotto tanto dell’est quanto dell’ovest. È stato generato dalla furia della vendetta illiberale dei russi, dalle umiliazioni degli anni Novanta e dalla smisurata sete di potere e profitto del mondo occidentale.
Negli ultimi vent’anni, molti grandi leader della politica e del capitale occidentale si sono seduti al suo tavolo, traendone vantaggi. Lo hanno legittimato, non dimentichiamocelo. La “deputinizzazione” dovrebbe cominciare da qui. L'età media del regime di Putin supera i 65 anni, quella del regime di Kiev è di circa 40.
La mia generazione, quella dei cinquantenni, si trova in mezzo. Si tratta, anche, di un conflitto generazionale. Quanto dico non intende affatto giustificare la guerra: ammetto che persino ora mi riesce difficile accettarla. La guerra non rientrava in alcuna delle analisi della mia generazione, neppure in quelle più pessimiste. Era uno scenario che esulava dai nostri pensieri. E invece questa guerra diventerà la più grande tragedia degli europei orientali della mia generazione.
Nel 1988 noi, figli della perestrojka, eravamo più liberali degli occidentali, più americani degli americani: credevamo così tanto nei loro valori che arrivavamo a spaventarli. Stavamo regalando loro non solo il paese dei nostri padri, non solo le nostre anime: stavamo regalando loro il futuro
Il solo fatto che sia potuta scoppiare trascende la catastrofe. Oltre alla morte di persone innocenti, che niente e nessuno dovrebbe accettare né legittimare, c’è una tragedia storica che potrebbe trasformare per sempre l’Europa dell’est in qualcosa di profondamente malvagio, fino ad escluderla dal mondo occidentale. Europeo, intendo.
Un po’ quello che è accaduto ai Balcani: negatività totale e rimozione dalla storia.
I due figlioli prodighi dell’Europa
Ancora peggio: questa guerra potrebbe rimuovere l’Europa orientale dalla storia dell’Occidente non solo come forma del futuro, ma anche del passato. L’Est potrebbe scomparire dall’immaginazione, potrebbe dissolversi. La guerra può cambiare alla radice persino il nostro passato.
Sono un est-europeo dalla testa ai piedi. Credo fermamente che l’Europa orientale sia un alter ego essenziale di quella occidentale. Così gli Stati Uniti. L’esperienza dell'Europa orientale è travolgente, per la sua estensione, il suo tempo, la geografia, la religione, la politica e la cultura, la colossale storia di sofferenza e immaginazione. Una delle eredità più affascinanti dell’Occidente. Una sua parte indispensabile.
L’Europa ha due enfant terrible, due figlioli prodighi potenti, e in grado di produrre tragedie di cui la stessa Europa non è capace. Anche se è proprio dall’Europa che hanno imparato. Si tratta degli Usa e della Russia. Può l’Europa fare a meno di loro? Forse, ma non sarebbe più sé stessa.
Forse potrà fare a meno di uno di loro? Magari, ma di nuovo, non sarebbe più l’Europa. Senza i suoi due figli, nell’attuale contesto globale, l’Europa sembra una provincia impotente. Eppure, in questo conflitto si sta rivelando inarrestabile, al punto che che dovremmo preoccuparci.
I due enfant terrible avevano una smisurata sete di vita, di cui hanno esperienze differenti. L’immenso desiderio dell’America per la modernizzazione, ereditato dall’Europa, le ha impresso una velocità che ha spaventato il mondo intero. Anche se quella modernizzazione si associava alla schiavitù e al colonialismo, e all’annientamento di civiltà e popoli in modo violento e radicale. Sono tutti tratti dell’Occidente. Ferite dell’Occidente. Ammettiamolo. È la nostra violenza.
Dall’altra parte avevamo il comunismo sovietico, altro volto della modernizzazione, finanche più radicale e dai ritmi più accelerati, poiché area meno sviluppata che bruciava tappe e colmava divari. Sì, il comunismo, al pari del fascismo, è uno dei volti dell’Europa, entrambi sono figli dell’Occidente. Come il Gulag, come l’Olocausto. Entrambe le tragedie, reati sistemici senza precedenti, sono volti del nostro mondo occidentale. Hitler e Stalin sono figli dell’Europa. Non possiamo dimenticarcelo, né far finta di non saperlo.
Allo stesso tempo, non possiamo non renderci conto di essere anche coloro che hanno raggiunto una lunga pace politica e sociale, tramite la riconciliazione, il perdono, il castigo, le leggi, i trattati, le istituzioni, i negoziati, la redistribuzione, i diritti, lo stato sociale. La guerra si è rivelata puntualmente la strategia peggiore.
Dalla generazione liberale a quella illiberale
L’Europa occidentale, quella orientale e gli Stati Uniti hanno goduto di un lungo periodo di pace: un equilibrio c’è stato. Anche se fuori da questo spazio il mondo occidentale ha generato molteplici abusi. È importante essere imparziali e onesti con noi stessi.
La nostra rabbia, la rabbia degli est-europei, viene ora dall’impotenza, dalla vergogna, da colpa e responsabilità: come mai non siamo stati in grado di prevenire la tragedia? Sono convinto, credo con tutto me stesso, che avremmo potuto. Com’è possibile che la nostra generazione, così profondamente liberale, sia diventata intimamente illiberale e antisociale? E non si tratta solo della Russia, benché a quest’ultima siano da attribuire la colpa e le responsabilità principali per aver avviato la guerra. In Ungheria le cose stanno forse diversamente? Per quanto riguarda la Polonia, meglio tacere: qui la rivincita è totale.
In Romania non contiamo cosi tanto, ma anche qui cominciano ad esserci dei segnali: i liberali sono arrivati a farsi guidare dai militari. L’esercito è dunque la nostra istituzione più liberale? Dopo trent’anni di transizione, il Partito nazionale liberale (Pnl) aveva un solo candidato alla leadership, un generale poi eletto con il 94,64 per cento dei voti. Nessuna donna nella nuova dirigenza. Questa è l’essenza del “liberalismo dell'est”. Abbiamo forse dimenticato che il nuovo ordine politico aveva un unico slogan che incita all’odio, trasformato in una semplice parolaccia? Insomma, da dove viene questa politica dell’odio?
Il revanscismo bifronte
Credo che se avessimo il potere che ha la Russia le nostre isterie e il nostro odio sconvolgerebbero il mondo intero. I due nuovi partiti propongono politiche simili: alcuni ricorrono ai divieti, altri alla forza. E il mondo “progressista delle ong” opta per una specie di fondamentalismo dalla “narrazione positiva” che, se spiegato a un “ragazzo dingo” del 1988, verrebbe etichettato come stalinista. Ecco la rivincita. Ed è solo l’inizio.
Quand’è che tutto è collassato? Temo che il revanscismo si collochi non solo dalla parte del rublo, ma anche da quella de dollaro: una valuta dalle due facce. Non ci ricordiamo più cosa è accaduto un anno fa a Capitol Hill, cuore della democrazia americana? Cos’è Trump se non l’essenza del revanscismo americano? E cosa sta accadendo invece in Francia, cuore del socialismo europeo? Va bene trasformare la politica dell’Ue in una tecnocrazia ultrastatalista di “esperti”? È solo la Russia a volere la guerra? Anche se i responsabili sono tanti, la colpa e la responsabilità principale della guerra appartiene di certo al regime di Putin: ha cominciato la guerra, il colpevole è lui, e per questo dovrebbe esistere una punizione, proprio come c’è una responsabilità politica dei cittadini (lo hanno illustrato Jaspers e Arendt).
Ho creduto a lungo che la nostra vendetta sarebbe stata ponderata, volta a ricostruire e a migliorare la situazione dell’Europa orientale. Ho sostenuto che ci saremmo divorati l’uno con l’altro, da qui l’idea del cannibalismo. Sì, lo abbiamo fatto per qualche tempo. Abbiamo divorato noi stessi, il paese, la società. Ma lo ammetto: non pensavo che la guerra sarebbe stata possibile, la metafora è divenuta realtà.
La grande sofferenza, sempre più difficile da nascondere, è che la transizione ha avuto troppi perdenti e troppo pochi vincitori. Questi ultimi si sono presi tutto, mentre i tanti perdenti ne sono emersi feriti, scontenti, umiliati e con un terribile desiderio di vendetta. Per di più, non c’è nessuno che li rappresenti e la loro voce viene poco ascoltata. Quando lo è, vengono trattati come subumani.
Ripeto, pensate a quanto accaduto negli ultimi trent’anni all’intera regione, che è stata abbandonata, saccheggiata, deindustrializzata, demodernizzata, privata delle istituzioni e di un’istruzione autonoma. Proprio quel che rimprovero ai russi: dov’è il vostro soft power? Le vostre élite hanno rubato, generato oligarchi e quartieri ricchi a Londra, comprato yacht costosi e quant’altro. Ecco cos’è l’Est Europa. Ora promettono amore all’Ucraina con i carri armati. È un imperialismo revanscista che rivela tutta la sua impotenza.
Reinventare la speranza
Sì, siamo stati completamente sconfitti. Abbiamo a lungo ritenuto che la nostra ultima guerra sarebbe stata non celare la nostra disfatta, sottrarci all’odio e alla vendetta e mostrare tutte le nostre ferite. Mostrare che siamo stati sconfitti a tutti i livelli. Riconoscere la disfatta e la catastrofe è un punto di partenza da cui cominciare a sperare: una reinvenzione della speranza. Mostrare le ferite infette e le interiora lacerate. Affinché coloro che vengono dopo di noi non ripetano la sequela di spensierato cannibalismo in cui siamo vissuti: la ferita come punto d’arrivo per un nuovo inizio.
Noi non credevamo nella guerra. Tuttavia, per dirla con il poeta est-europeo Gennadij Golovatij, ecco cosa è accaduto:
"I ciechi non possono guardare con rabbia,
I sordi non possono gridare con rabbia.
Chi è monco di un braccio non può maneggiare un’arma,
Chi è senza gambe non può marciare.
Ma il sordo e il muto possono guardare con rabbia,
I ciechi possono gridare con rabbia.
Chi è senza gambe può maneggiare le armi.
E chi è monco può marciare".
Il romanzo Sălbaticii Copii Dingo ("I bambini selvaggi Dingo", Polirom 2021) di Vasile Ernu ha ricevuto il premio Observator Cultural 2022 per il miglior libro nella categoria memorialistica. Questo testo è una versione più lunga del discorso di accettazione.
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