L’introvabile esercito europeo

Al vertice del 19 e 20 dicembre i paesi Ue affronteranno la questione della politica di sicurezza comune. Una necessità sempre più urgente di fronte ai tagli alle spese militari e alla destabilizzazione del Mediterraneo.

Pubblicato il 17 Dicembre 2013 alle 16:59

Meglio tardi che mai. Questa è la reazione che potrebbe suscitare il Consiglio europeo che si riunirà il 19 e 20 dicembre e nel quale per la prima volta dopo molto tempo i capi di stato e di governo europeo discuteranno della politica della sicurezza e della difesa comune. Discussioni quanto mai opportune.

Nel 1991 l’allora ministro degli esteri belga, Mark Eyskens, paragonò l’Europ a “un gigante economico, un nano politico, un verme quando si tratta di elaborare capacità difensive”. Certo, negli ultimi anni l’Ue è diventata più attiva dal punto di vista della sicurezza. Ma la grande ambizione, espressa infinite volte, di investire in una reale politica comune di difesa e per la sicurezza, comprensiva di una capacità militare autonoma, non si è mai concretizzata. Nel frattempo, invece, il mondo che ci circonda cambia e obbliga noi europei a prendere in considerazione la nostra sicurezza più seriamente, come una faccenda di comune interesse.

In un mondo sempre più multipolare, gli Stati Uniti non sono più disposti a intervenire se la sicurezza europea fosse messa a rischio. Si nota anche un’instabilità crescente nelle zone più vicine all’Ue, come l’Africa del Nord, il Medio Oriente e il Caucaso. Sempre più i pericoli si diversificano e, soprattutto, sicurezza esterna e interna si mescolano.

La risposta logica a tutto ciò sembra essere più cooperazione e più assunzione di responsabilità da parte dell’Europa, e il Consiglio d’Europa su questo intende fare affidamento: l’Europa deve essere più efficiente e più visibile nel campo della sicurezza, occorre investire di più nelle capacità militari e rafforzare l’intero settore europeo della sicurezza. I documenti, pubblicati dalla
Commissione europea e dall’alta rappresentante Ue per gli affari esteri Catherine Ashton prima di questo Consiglio europeo, ne sottolineano la necessità.

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Negli ultimi anni le missioni fuori del territorio che batte bandiera europea sono state meno numerose e su scala minore. Il contributo europeo alla sicurezza e alla stabilità mondiale consiste per lo più nella formazione e nel supporto, e non si tratta di un vero e proprio dispiegamento di mezzi militari. [[L’intervento in Libia ha dimostrato – per mancanza di unità e di mezzi – che l’Ue è obbligata a lasciare che siano gli Stati Uniti e la Nato a prendere l’iniziativa]].

Nel caso del Mali e della Repubblica centrafricana, la Francia non ha aspettato il parere dell’Ue. “Aspettare l’Europa è come aspettare Godot”, era solito dire un diplomatico francese citato da le Figaro. La decisione di intervenire, in quei casi, è stata presa in modo unilaterale. Coloro che vogliono e ne sono capaci hanno la possibilità di contribuirvi, ma l’operazione di fondo resta francese.

Decisamente più grave è la situazione delle capacità militari, già ora inadeguate, ma tutti i paesi membri sotto la pressione della crisi finanziaria ed economica rischiano di tagliare ancora di più i loro bilanci per la difesa. Pressoché inesistente è qualsiasi forma di coordinamento a livello europeo. Tenuto conto delle carenze in fatto di mezzi, si rendono tanto più necessari il coordinamento delle misure di austerità e degli investimenti, se si intende mantenere una difesa europea credibile.

Troppi doppioni

Ma anche in questo caso, alle cooperazioni europee gli stati dell’Ue preferiscono per ragioni pratiche cooperazioni bilaterali come la cooperazione belga-olandese. Ormai il nuovo slogan è “pooling and sharing”, mettere insieme e condividere su base bilaterale. Di per sé non c’è niente di male, ma a lungo andare questo tipo di cooperazione sarà possibile soltanto se sarà inquadrata in una strategia europea più ampia, che per il momento non esiste.

L’acquisto e il dispiegamento di materiali e la cooperazione hanno bisogno di una più stretta sinergia tra i vari paesi, ma ciò vale anche per il settore della difesa europea, molto frammentato. Rispetto ad altri paesi, gli stati dell’Ue investono poco nella ricerca e nello sviluppo in campo militare. I pochi investimenti fatti d’altro canto hanno scarso impatto, perché gli stati membri, soprattutto quelli grandi, vogliono tutelare le rispettive industrie di settore. Di conseguenza ci sono troppi doppioni, spese di produzione troppo elevate, materiali molto costosi e una perdita di competitività sui mercati internazionali.

Ma la perdita maggiore sarebbe se questa situazione si protraesse e se l’Europa non fosse più in condizione tale da poter garantire la propria sicurezza facendo affidamento sulla propria potenza industriale.

Insomma, a fronte di ambizioni militari di ogni tipo, la realtà è una sola: considerevoli tagli di bilancio. La questione, adesso, è capire se il 19 e 20 dicembre gli stati dell’Ue saranno disposti a rinunciare ai propri interessi in nome dell’interesse generale. In caso contrario sarà un altro summit inutile, e le parole di Eyskens resteranno ancora attuali.

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