Analisi Migrazione e lavoro

La forza lavoro “straniera”, un pilastro dell’economia europea che non ha diritti

I cittadini di paesi terzi sono un pilastro fondamentale del mercato del lavoro nella maggior parte dei paesi dell'Ue ma, pur lavorando, non sono tutelati. E quando potrebbero esserlo, persistono numerosi abusi. Analisi.

Pubblicato il 21 Novembre 2023 alle 12:50

“Senza forza lavoro straniera, ci sono settori non possono sopravvivere”. In Francia, le parole pronunciate dalla Ministra delle Solidarités Aurore Bergé all'inizio di settembre 2023 hanno fatto scalpore, proprio mentre il paese discute un nuovo progetto di legge sul controllo dell'immigrazione che garantisce uno status speciale per i lavoratori senza regolare permesso di soggiorno che occupano posti in settori nei quali c’è una grande domanda di lavoratori e lavoratrici. 

Il piano del governo francese è ben lontano da un'apertura totale delle frontiere: difende l'idea che ci sono forme di migrazione che devono essere drasticamente ridotte e forme di migrazione per motivi di lavoro che vanno sostenute. 

"I politici stanno cercando di trovare un equilibrio tra la carenza di manodopera da un lato, e le restrizioni all'immigrazione dall'altro", sottolinea un rapporto pubblicato nel giugno 2023 dall'Istituto sindacale europeo (ETUI), che analizza i sistemi di welfare di 26 paesi europei. In questo contesto, i primi a essere colpiti sono i lavoratori senza regolare permesso di soggiorno. "Quando si tratta di diritto del lavoro, i lavoratori senza documenti hanno, in linea di principio, gli stessi diritti di qualsiasi altro dipendente", spiega Marie-Laure Morin, specialista in diritto del lavoro ed ex volontaria di un'associazione che sostiene i migranti. 

"Tuttavia, se il datore di lavoro interrompe il contratto di lavoro perché il lavoratore si trova in una situazione irregolare, tale rescissione è per sua natura giustificata, e il lavoratore non ha diritto ad alcun tipo di risarcimento. Non beneficia di nulla in caso di licenziamento: né della tutela della maternità, né sindacale se è un delegato del personale. L'irregolarità della sua situazione prevale sulle tutele legali".

Due pesi

L'Unione europea ha avviato una politica che varia a seconda della situazione dei lavoratori, del tipo di occupazione e delle qualifiche possedute. L'obiettivo è quello di rafforzare la migrazione di manodopera legale e altamente qualificata... e di reprimere il resto. "Vogliamo chi lavora, non chi ruba", ha sintetizzato il ministro degli Interni francese Gérald Darmanin nel dicembre 2022. Tra le misure chiave: la creazione di un permesso di soggiorno per i "lavori dove c’è domanda", come quelli nel settore alberghiero e della ristorazione, nell'edilizia, nelle pulizie o nell'assistenza domiciliare.


“Non sono mai stato più di tre mesi senza lavorare. Però, ora che ho un permesso, tanti datori di lavoro non vogliono assumermi, perché costa di più” – Drissa, lavoratore senza documenti


A livello europeo, il 7 ottobre 2021 il Consiglio ha adottato la direttiva "carta blu" per i lavoratori altamente qualificati provenienti da paesi terzi. Questo sistema di ammissione, che è stato gradualmente recepito negli Stati membri, ha lo scopo di attrarre e trattenere i lavoratori nei settori in carenza. A tal fine, vengono utilizzati criteri più flessibili: facilitare la mobilità all'interno dell'Ue, rendere più semplice il ricongiungimento familiare e le procedure per i datori di lavoro.

Un'altra recente riforma è il permesso unico di lavoro e di soggiorno. Nel marzo 2023, la Commissione per le libertà civili del Parlamento europeo ha adottato una relazione che aggiorna la direttiva, prevedendo una procedura amministrativa unica per il rilascio dei permessi ai cittadini di Paesi terzi, successivamente estesa ai lavoratori stagionali o con status di protezione temporanea.

Nel suo rapporto pubblicato poco dopo (nel giugno 2023), l'ETUI ha sottolineato che "alcuni elementi del diritto dell'Ue, come la Direttiva sul permesso unico, consentono a determinati lavoratori (ad esempio quelli che soggiornano nel paese per meno di sei mesi) di essere esentati dal loro campo di applicazione, e non meno di 18 stati membri sono stati segnalati dalla Commissione per aver esercitato questa opzione".

Secondo i ricercatori, gli immigrati provenienti da paesi terzi che vengono a lavorare nell'Unione europea per brevi periodi sono anche privati dell'assistenza sanitaria, dell'assicurazione contro la disoccupazione o dei diritti pensionistici... Come regola generale, le prestazioni di sicurezza sociale sono riservate alle persone che risiedono in uno Stato membro da almeno un anno. In Germania, ad esempio, i datori di lavoro non sono tenuti a versare i contributi previdenziali - come previsto dal codice sociale nazionale - per i lavoratori stagionali che non lavorano per più di 102 giorni; i lavoratori agricoli stagionali provenienti dall'Ucraina, dalla Georgia o dai Balcani sono raramente affiliati a un sistema di protezione nel loro paese d'origine.

Volontà europea VS politiche nazionali

Va detto che l'ultima parola spetta ancora agli stati membri, dato il potere discrezionale di cui godono in materia di immigrazione e diritto del lavoro. "Anche nei settori in cui esistono strumenti europei che regolano l'immigrazione (lavoro stagionale, carte blu, trasferimenti intra-aziendali), i cittadini di paesi terzi si trovano di fronte a una forte diversità di diritti di sicurezza sociale", affermano gli autori del rapporto. Inoltre, la regolarizzazione e l'accesso a un permesso di soggiorno a lungo termine sono tutt'altro che comuni. 

In Italia, come in Francia, le proteste collettive dei lavoratori stranieri portano talvolta alla regolarizzazione. Il caso più recente in Francia: un centinaio di lavoratori senza documenti nei cantieri dei Olimpiadi sono stati regolarizzati dalla Prefettura della regione Seine-Saint-Denis, in seguito a una protesta. Arrivato in Francia quattordici anni fa, Drissa lavorava in precedenza con un nome falso cosa che gli impediva che quello che pagava in contributi risultasse suo:" Non sono mai stato più di tre mesi senza lavorare. Però, ora che ho un permesso, tanti datori di lavoro non vogliono assumermi, perché costa di più".


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In questo contesto, l'organizzazione collettiva dei lavoratori migranti e la loro tutela a livello europeo potrebbero essere una soluzione. Nella pratica i sindacati ne sottolineano la difficoltà di attuazione. Il rapporto dell'ETUI cita il caso del mercato del lavoro svedese, dove i lavoratori sono protetti da contratti collettivi e dall'iscrizione ai sindacati: "I cittadini di paesi terzi sono spesso impiegati in settori con un basso tasso di copertura, o in aziende non affiliate alle organizzazioni dei datori di lavoro, e quindi non rientrano nel campo di applicazione dei contratti collettivi. Ciò espone potenzialmente questi lavoratori a condizioni di lavoro peggiori rispetto al resto della popolazione", sottolineano gli autori.

Tuttavia, un testo esiste dal 1990: la Convenzione internazionale del 1990 sulla protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti, un trattato fondamentale in materia. "La Convenzione è uno dei testi più trascurati del diritto internazionale dei diritti umani e nessun grande paese occidentale di destinazione l'ha ratificata", ha scritto nel 2019 Matthieu Tardis, cofondatore dell'associazione Synergie Migrations e specialista delle politiche europee in materia di migrazione e rifugiati. Secondo il ricercatore, i paesi occidentali percepiscono questa convenzione come uno strumento a favore dell'immigrazione, che minerebbe la loro sovranità.

Strumentalizzazione politica

Il Patto sulla migrazione presentato dalla Commissione europea il 23 settembre 2020 non ha cambiato la situazione. Stabilendo un quadro di cooperazione giuridicamente non vincolante, il Patto propone una serie di azioni che gli Stati membri possono scegliere per raggiungere gli obiettivi che ritengono prioritari. Sebbene il Patto sia descritto come "soft law" - legge non vincolante - e possa avere un effetto graduale nell'incoraggiare gli stati a cooperare, sono i governo nazionali che continuano a dominare le politiche migratorie a livello nazionale, regionale, bilaterale. E quindi internazionale.

"Questa situazione è alimentata dall'aumento del sentimento anti-immigrati, ma anche dalla crescente messa in discussione del multilateralismo come strumento di risoluzione dei problemi internazionali", analizza Tardis, secondo il quale l'Europa è passata  "da un approccio basato sui diritti umani a un approccio manageriale ai flussi migratori".

"Sempre più politici accusano la legge di essere troppo protettiva nei confronti dei migranti", osserva il ricercatore. "Nonostante l'accoglienza di 4 milioni di ucraini nel 2022, l'Ue non è disposta a prendere in considerazione alcuna politica diversa da quella che non ha funzionato per 20 anni. L'estrema politicizzazione delle questioni migratorie in un contesto di polarizzazione delle nostre società sta producendo lo stallo istituzionale in cui ci troviamo", conclude.


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