Una settimana fa o poco più sono rimasta a bocca aperta a un think tank londinese mentre una sfilza di oratori ha proceduto a demolire sistematicamente tutte le ragioni comunemente addotte a sostegno del “rapporto privilegiato” tra britannici e statunitensi. In sintesi: la Gran Bretagna ha dovuto riconoscere di essere una potenza media, di dimensioni, ricchezze e influenza decisamente diverse rispetto a quelle statunitensi. Il rapporto tra queste due nazioni di conseguenza potrebbe soltanto diventare ancor più sbilanciato e ineguale, mentre gli Stati Uniti perseguono le loro ambizioni globali e la Cina si affaccia alla ribalta. L’esercito britannico avrebbe tutto da perdere nel cercare di stare alla pari con quello americano. Oltretutto, identificare così strettamente i nostri interessi nazionali con quelli degli Stati Uniti ci mette nella condizione avvilente di dover cambiare la nostra politica estera ogniqualvolta gli Stati Uniti eleggono una nuova amministrazione, anche se il nostro governo resta il medesimo.
La conclusione è stata che il nostro allineamento all’estero deve essere con l’Unione Europea, anche se per il momento l’appartenenza alla Nato e all’Ue possono essere conciliate. Il mio sbigottimento, tuttavia, è dovuto soltanto in parte alle motivazioni addotte dal palco, per quanto intelligenti e ponderate esse siano state. In buona parte era dovuto al fatto che il pubblico, zeppo di esperti militari e diplomatici, appartenente a una fascia d’età tradizionalmente atlantista, mi è parso generalmente d’accordo con esse. Nessuno ha messo in discussione l’idea che la Gran Bretagna non soltanto deve fare i conti con le proprie risorse e le circostanze, ma anche che deve necessariamente entrare a far parte di qualcosa di più vasto, probabilmente l’Unione europea.
Europeismo opportunista
Nel giro di un paio d’ore quasi tutte le intoccabili vacche sacre della difesa sono state sgozzate, dalla responsabilità morale della Gran Bretagna a impegnarsi in interventi umanitari nel mondo alle spese necessarie a rinnovare il suo deterrente nucleare, il programma Trident. Il nostro coinvolgimento in Iraq e in Afghanistan è stato illustrato non a dimostrazione della nostra influenza nel mondo, ma come un’esperienza mortificante, che ben chiarisce i limiti delle nostre effettive capacità. Tuttavia è stato difficile valutare fino a che punto questa revisione delle relazioni britanniche con il mondo esterno sia condivisa dal governo. Lo è stata di sicuro quando il segretario agli esteri David Miliband ha pronunciato uno dei discorsi più filoeuropei – e meno atlantisti – che un ministro abbia mai fatto a un pubblico britannico da quando il Labour ha iniziato a governare 12 anni fa.
Preparando la scena affinché la Gran Bretagna affidi la sua politica estera all’Ue, Miliband ha in realtà seppellito il “rapporto privilegiato” tra Usa e Gran Bretagna. È vero che ha sottolineato che l’Europa “non è il sostituto della partnership britannica con gli Stati Uniti”, ma qualsiasi altra cosa egli abbia detto affermava esattamente il contrario. Gli Stati Uniti sono diventati niente più di un’altra grande potenza. "L’Europa è il nostro continente", ha detto.
Scarso tempismo
È tragico che nel momento in cui la sua autorità sta scemando irreparabilmente, questo governo – o quanto meno il suo segretario agli esteri – si scopra profondamente filoeuropeo. Che il discorso di Miliband possa essere essere considerato più il tentativo personale di ottenere una poltrona in Europa che un riallineamento generale della politica di governo, in definitiva conta poco. Ciò a cui stiamo assistendo pare proprio un altro esempio di scarso tempismo.
Ora che la maggioranza del nostro establishment diplomatico e militare sta accettando l’Europa come l’arena più logica per esercitare l’influenza britannica, sembriamo in procinto di eleggere il governo più euroscettico da quando siamo entrati nell’Ue. Nel momento in cui la Gran Bretagna avrebbe potuto confluire nel mainstream europeo, David Cameron nuota contro la corrente della Storia e i suoi alleati restano sulle sponde. L’unica consolazione per i filoeuropei britannici è che prima di sfidare Bruxelles, Cameron potrebbe dover affrontare uno scontro diretto sulla questione dell’Europa qui in Gran Bretagna.
PRESIDENZA UE
Blair-Miliband, o l'uno o l'altro
Con l'entrata in vigore del trattato di Lisbona, l'Europa avrà bisogno di un Presidente e di un Alto Rappresentante per gli Affari Esteri. Due dei nomi in ballo per queste nuove cariche sono inglesi. Entrambi i candidati – l'ex-Primo Ministro Tony Blair come Presidente e l'attuale ministro degli Esteri David Miliband come Alto Rappresentante – appartengono al Partito Laburista, in forte crisi, e nessuno dei due ha ufficialmente dichiarato di correre per queste cariche. Miliband, infatti, ha detto più volte che il suo attuale impegno come ministro glie lo impedisce, ma i commentatori non hanno fatto a meno di notare il discorso in favore dell'Europa che ha pronunciato all'inizio della settimana – definito da un quotidiano britannico una “domanda di assunzione”. In ogni caso, se c'è una cosa certa è che nell'Ue le quote contano. Se uno dei due incarichi d'oro andrà a un britannico, l'altro sarà sicuramente assegnato a un candidato di un altro paese europeo.