Unione monetaria, il boia dell’Europa

Il vertice straordinario di Bruxelles ha allontanato la prospettiva di un collasso dell'Eurozona. Ma ogni misura che riduce l'autonomia degli stati e cerca di cancellare le differenze è un passo verso l'abisso.

Pubblicato il 22 Luglio 2011 alle 15:42

E alla fine eccola: una crisi vera. L’operazione franco-tedesca di salvataggio della zona euro era inevitabile, per la semplice ragione che l’Armageddon non si verifica mai. Nicolas Sarkozy e Angela Merkel hanno rabberciato ancora una volta un bailout “provvisorio” per i greci e lo faranno anche per i portoghesi e gli irlandesi, se sarà necessario. I contribuenti tedeschi quindi pagheranno di tasca propria i conti della Grecia e aiuteranno le banche europee a continuare a guadagnare con l’interesse del 20 per cento applicato ai loro debiti sovrani. Il potere vince sempre, finché riesce a far pagare i conti a qualcun altro.

Una crisi più interessante è scoppiata in Gran Bretagna: il cancelliere George Osborne ha dato prova di un’impressionante freddezza abbandonando la sua tradizionale opposizione a un’Europa a “due velocità” e chiedendo che la zona euro proceda in tempi rapidi verso l’unione fiscale. Lasciandone fuori la Gran Bretagna, beninteso. A suo dire soltanto un’unione simile metterebbe in riga le nazioni debitrici e di riflesso scongiurerebbe quell’anarchia bancaria che rischia di riversarsi sull’economia britannica. La Gran Bretagna non interverrà in alcuna operazione di salvataggio in extremis, ma fa affidamento sulla zona euro, affinché essa prosegua nella strada intrapresa verso un’unione ancora più tangibile.

Per quanto cinico possa apparire Osbone, egli ha ragione nella sua analisi storica. L’ultimo bailout della Grecia segna il momento preciso in cui l’Europa continentale si trova costretta a trasformarsi quasi magicamente da federazione poco coesa in uno stato fragilmente unitario. Se è destino che la politica europea inizi a implodere e a tornare alla xenofobia, alle frontiere sorvegliate, alla pulizia etnica e ai boicottaggi commerciali, quell’inizio è assai prossimo. Siamo davvero a un punto di svolta.

Sin dai primi giorni dell’Unione europea, all’indomani della seconda guerra mondiale, il più grande pericolo è stato proprio questo. Finché le valute nazionali potevano oscillare in modo flessibile in un clima di libero commercio, l’economia politica europea, straordinariamente multiforme, poteva godere di una “geometria variabile”. La valvola di sicurezza rappresentata dalla svalutazione della propria moneta consentiva ai singoli paesi di adeguarsi nel tempo alle reali necessità. Le loro autonomie caratteristiche e le loro culture politiche potevano sopravvivere.

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Ormai questa valvola di sicurezza non esiste più. All’interno della zona euro ingenti sussidi devono uscire a fiotti dai paesi più competitivi verso quelli meno efficienti per sovvenzionare i governi e finanziare i debiti sovrani. Subentrano interventi burocratici e disciplina fiscale. Ciò significa tasse uniformi, applicazione uniforme, regolamenti uniformi e governi uniformi, tenuti solo vagamente a rispondere all’elettorato. Una volta introdotta la moneta unica, nel 1999, il resto è arrivato da sé.

Ogni passo verso “un’unione sempre più coesa” ha avvicinato la reazione. Occorre fare qualcosa per far sì che i greci paghino le loro tasse, altrimenti i tedeschi si rifiuteranno di pagare loro i sussidi. Come ha detto Osborne, occorrono vincoli europei che impongano alla Germania di sostenere i debiti degli stati meridionali, ma ciò significa che gli stati meridionali dovranno accettare una “politica economica di stampo tedesco”. Bruxelles deve fissare le imposizioni fiscali e gli obiettivi della spesa pubblica per gli stati più deboli dell’euro, in caso contrario i default delle banche manderanno all’aria il già traballante equilibrio economico europeo. Eppure già ora i tentativi di imporre una tassa uniforme sulle imprese vacillano. Quanto può reggere una vera unione fiscale?

Abbiamo già visto le pretese dell’asse franco-tedesco, e in che modo il Fmi sia criticato dai paesi in crisi. I greci si ribellano perché umiliati, i tedeschi si ribellano alla loro generosità. In tutta Europa il vecchio consenso pro-Unione Europea si sta dissolvendo. Gli slovacchi si sono rifiutati di partecipare al bailout dell’euro, e sono stati accusati dalla commissione Ue di “violazione della solidarietà”, parole che ricordano la vecchia Unione Sovietica.

L’ultimo sondaggio sull’euro dimostra per la prima volta che la sfiducia generale nell’Ue supera di gran lunga la fiducia, soprattutto in Gran Bretagna, Germania e Francia. Dai sondaggi risulta che sempre meno paesi giudicano positivamente la loro appartenenza all’Unione, e l’opposizione aumenta mano a mano che si sale verso nord. È inquietante che la politica dell’euroscetticismo segua le vecchie parabole storiche. Quando l’Ue era un’unione commerciale sicura era sostenuta e appoggiata nell’Europa settentrionale protestante. A mano a mano che è scivolata nell’ortodossia istituzionale e nel trasferimento di fondi, il suo fascino si è spostato verso il meridione della Controriforma. Il tono aulico e solenne della prima bozza del trattato di Lisbona redatto da Valéry Giscard d’Estaing sembrava quasi un’enciclica papale.

Aspettando Lutero

Come prima della Riforma, la tassazione dell’Europa settentrionale per sovvenzionare i sussidi e i debiti della madre chiesa è durata a lungo, ma non poteva durare per sempre. I contribuenti tedeschi possono salvare i greci, perché metà dei loro debiti sono contratti in banche straniere. Ma non salveranno anche i portoghesi, gli spagnoli e gli italiani. Il tentativo di far rivivere il Sacro Romano Impero è ormai a rischio. Le tesi di Lutero presto saranno affisse alle porte del palazzo di Berlaymont a Bruxelles invece su quelle della cattedrale di Wittenberg.

“Un’unione sempre più coesa” è sempre stata una fantasia pericolosa, un imperialismo alla rovescia forgiato dalle menti sovraeccitate degli alti prelati di una fede pan-europea. Credevano di poter smentire la realtà politica. La loro arroganza stava tutta nel ritenere che in qualche modo l’unione monetaria potesse lasciare immutata l’identità nazionale, che un parlamento europeo corrotto potesse offrire una responsabilità democratica sufficiente. Adesso i bei tempi sono definitivamente alle spalle. Quella responsabilità non può legittimare le terribili lezioni che si devono imporre alle nazioni debitrici.

Uno dei punti di forza degli stati dell’Europa postbellica è una forte democrazia interna. Una lezione impartita da lontano non la spazzerà via. Il tentativo di imporre l’unione fiscale a tutta Europa ne comporterà la fine. Dove sbagliano Osborne e il suo marchio di scetticismo è nel volerne così palesemente la rovina. Quando l’unione monetaria raggiungerà il suo punto di rottura e si esteriorizzerà in un’orgia xenofobica, la Gran Bretagna non sarà immune. I Napoleoni in miniatura che si sono imbarcati in questa impresa andranno incontro alla loro Waterloo. É improbabile, in ogni caso, che l’economia britannica possa scampare alla carneficina. L’unione monetaria, da sempre impraticabile, ha messo in moto un disastro europeo. (traduzione di Anna Bissanti)

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