Idee Arcipelago USSR | Georgia
Aeroporto di Mosca, maggio 1981. Il capitano della Dinamo Tbilisi Aleksandr Chivadze accolto dai tifosi georgiani dopo aver vinto la coppa UEFA. | Photo: A. Ikovlev

Nella Georgia sovietica, il calcio come via di fuga

Aka Mortschiladze è uno degli scrittori contemporanei più conosciuti in Georgia. È anche un grande appassionato di calcio, cosa che gli ha reso la vita difficile in epoca sovietica: se l'URSS non partecipava a un campionato internazionale, la partita non veniva trasmessa. Guardare il calcio clandestinamente era una forma di fuga.

Pubblicato il 27 Gennaio 2022 alle 11:43
Aeroporto di Mosca, maggio 1981. Il capitano della Dinamo Tbilisi Aleksandr Chivadze accolto dai tifosi georgiani dopo aver vinto la coppa UEFA. | Photo: A. Ikovlev

Spero che il calcio vi piaccia, o almeno che non lo odiate. Volenti o nolenti, vi capiterà certamente di vederlo in tv. I tifosi di oggi sono fortunati: basta avere i mezzi giusti e ci si può godere tutto il calcio che si vuole. In tv, al computer e sul cellulare. E, anche senza volerlo, sul telefonino si ricevono notizie su quello che sta succedendo, per esempio, al White Hart Lane: chi ha segnato e chi è beccato un cartellino giallo.

Molti si lamentano perché in tv il calcio è troppo, non ne possono più. Ma chi lo ha desiderato disperatamente e ne è stato a lungo privato non avrà mai niente da ridire sul fatto che il pallone è diventato un fedele amico della televisione e che i due sono ormai inseparabili.

Perché non è sempre stato così: i pionieri che hanno portato per primi il calcio in tv sono celebri e, più in generale, quella storia di questo sport è stata scritta. Qui parliamo di una cosa diversa. 

Se eri innamorato del pallone e vivevi nel paese che, prima del crollo del "grande Stato sovietico" non aveva mai trasmesso una partita – né di Coppa dei campioni né di Coppa delle coppe e nemmeno una finale di Coppe Uefa – a meno che in campo non ci fosse una delle sue squadre, la fame di calcio e il rammarico per le occasioni perse ti perseguiteranno per tutta la vita. Amareggiato per aver persone tutte quelle grandi partite, continuerai a cercarle su YouTube, chiedendoti cosa avresti provato se le avessi viste allora, in diretta.


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Ma cos’era l’Unione Sovietica negli anni Settanta e Ottanta? Com’era viverci? Ufficialmente era il paese del socialismo vittorioso, pronto a entrare nell'era del Comunismo, che avrebbe prodotto frutti di cui tutti avrebbero goduto.

E cos’è il comunismo? È cibo gratis per tutti, nient’altro. A quei tempi la penuria di generi alimentari era il problema principale. Ma dipendeva dalla regione. Se vivevi a sud, potevi contare sulla generosità della natura: quando le cose si mettevano male, erano sempre disponibili pomodori, cetrioli e peperoni.

In quegli anni a capo dell'URSS c'era Leonid Brežnev. Si diceva che fosse gentile, ma forse solo se paragonato all’isterico Chruščëv, con la sua fissazione per l’agricoltura, e a Stalin, che guidò il paese prima di lui.

Nei giorni di gloria della Dinamo Tbilisi, l’Unione Sovietica di Brežnev aveva già invaso l’Afghanistan con l’obiettivo di instaurarvi il socialismo. Oggi sappiamo quanto successo abbia avuto quella decisione.


Cos’è il comunismo? È cibo gratis per tutti, nient’altro


Nel frattempo in Polonia Solidarność dava voce alla protesta dei cittadini, ma l’Unione Sovietica credeva ancora fermamente di essere superiore e invincibile.

L’Impero sovietico, fin dal suo inizio, prese l’abitudine di distribuire le persone con opinioni e idee alternative tra i reparti psichiatrici e i campi di lavoro. 

Era una realtà accettata. Vennero applicate restrizioni di ogni tipo con efficacia, ogni passo della gente comune era controllato. Quando visitavano i paesi dell’Europa occidentale, i cittadini sovietici dovevano passeggiare in gruppi di tre, perché almeno uno di loro avrebbe ammesso i “misfatti” nella sala interrogatori del Kgb. 

A livello personale le persone erano solidali finché i rapporti con gli altri non mettevano a rischio il loro benessere personale, che si basava sui “grandi principi” promossi dal “grande paese”.

In realtà era un paese orribile. Nella mia università c’erano molti studenti di talento che volevano studiare seriamente. Ma l’edificio principale ospitava anche il Secondo e il Terzo Dipartimento: il Secondo era responsabile del servizio di leva, mentre il Terzo reclutava volontari che lavoravano per la sicurezza dello Stato. Volontari in teoria, perché la realtà era molto diversa: potevi iscriverti ai corsi di ginnastica, fare sport o partecipare ai circoli letterari organizzati nell’ateneo, ma prima o poi il Terzo dipartimento ti avrebbe convocato. E non occorrevano abilità o talento particolari per  farne parte.

L’Unione Sovietica di Brežnev era più mite rispetto a quella dei suoi predecessori, ma pur sempre rigida, smaniosa di conquistare il mondo con le rivoluzioni e lo sterminio di qualunque pensiero liberale o alternativo. Era un paese triste con gente felice e frustrata, perché dentro di sé sapevano di non avere un bene prezioso: la libertà.

Il calcio era un sport di culto in Unione Sovietica, le competizioni nazionali erano avvincenti e offrivano sempre partite interessanti. I club sovietici hanno vinto la prestigiosa Coppa delle coppe tre volte: due la Dinamo Kiev e una la Dinamo Tbilisi.

Proprio come oggi, anche allora il calcio era uno sport globale: ma le partite internazionali si potevano vedere solo quando le squadre sovietiche dovevano incontrare dei club stranieri nelle competizioni europee. Non c’era praticamente altro.

La stampa sovietica quasi non parlava del calcio internazionale. Nemmeno i giornali sportivi ne scrivevano. Dai quotidiani stranieri venivano riprese delle notizie, …

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