Alexandre Henrique de Paula non ha un regolare permesso di soggiorno e vive a Clonsilla, nella periferia di Dublino. Non ha guardato o ascoltato i notiziari, né letto i giornali per sapere come avere accesso al vaccino per il Covid-19. “Sto ancora imparando l’inglese, così ho chiesto a chi mi sta attorno”, ovvero alla sorella e agli amici.
Quando è stato il momento di vaccinarsi, sua sorella Renata gli ha prenotato l'appuntamento, lui ha dovuto solo presentarsi: “è stato facile”, dice. Se si fosse basato sulle informazioni del governo irlandese sulla vaccinazione, avrebbe avuto difficoltà nel capire se nel suo caso di immigrato senza documenti, quelle regole si applicavano.
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Da un punto di vista generale della campagna di vaccinazione, l’Irlanda si è posizionata relativamente bene nelle classifiche per la chiarezza dei requisiti di identificazione e residenza, per aver dato accesso ai gruppi marginalizzati e per le questioni relative alla privacy; questo secondo i risultati dell'inchiesta svolta in tutta Europa da Lighthouse Reports (di cui avevamo parlato qui). Ma, come in altri paesi europei, le politiche sulla vaccinazione delle persone sprovviste di regolare permesso di soggiorno sono risultate “confuse” o poco comprensibili nei documenti messi a disposizione del pubblico.
Secondo un comunicato del ministero irlandese della Giustizia, si stima che ci siano circa 17mila persone che vivono in Irlanda senza permesso di soggiorno. Non è possibile sapere quanti abbiamo effettivamente avuto accesso al vaccino contro il Covid.
Vaccinati, nonostante una campagna ambigua
Neil Bruton, responsabile delle campagne del Centro per i Diritti dei Migranti (Migrants Rights Centre Ireland, Mrci), ritiene che un numero considerevole di persone senza permesso di soggiorno sia stato vaccinato, basandosi sulle interazioni dell’Mrci durante la pandemia.
Quando è cominciata l’emergenza, la Direzione dei servizi sanitari (Health Service Executive, Hse) ha protetto le informazioni in suo possesso per bloccare lo scambio di dati con le autorità per l’immigrazione, così da incoraggiare la vaccinazione delle persone senza permesso di soggiorno. Secondo Bruton questo approccio ha contribuito a mitigare la paura di accedere alla vaccinazione e ai sostegni per il lavoro. “Pensiamo che dovrebbe essere applicato anche per cose come la denuncia di crimini”.
Nel momento in cui viene fatta la prenotazione online, è necessario inserire il numero per i sussidi sociali (Pps, in Irlanda), cosa che non sempre i migranti senza documenti in regola possiedono. Bruton sostiene che esistono alternative: è possibile prenotare senza il Pps al telefono, per esempio. L’Mrci ha aiutato tante persone in questo modo, poiché non erano a conoscenza della procedura o non riuscivano a destreggiarsi senza aiuto.
Il ministero della Salute ha fatto sapere che la non obbligatorietà del Pps è stata pubblicizzata, però non è stato registrato il numero di persone che hanno prenotato per telefono. De Paula, per esempio, quando si è vaccinato, per spiegare come mai non ha un Pps ha mostrato una lettera del ministero della Giustizia in cui si conferma che la sua pratica di regolarizzazione è in corso.
Nonostante le persone abbiano quindi avuto accesso alla vaccinazione, la comunicazione da parte delle autorità non ha raggiunto le popolazioni a cui erano indirizzate. Nel documento nazionale sulle politiche vaccinali il governo irlandese non ha nominato esplicitamente chi è irregolare, né altri gruppi quali i senzatetto o i carcerati. È stata invece utilizzata una terminologia generica “tutti i residenti”.
Una strategia comunicativa debole
Lighthouse Reports ha analizzato se il linguaggio utilizzato nelle strategie di ciascun paese per quanto riguarda i vaccini potrebbe essere facilmente “interpretato per includere le popolazioni senza permesso di soggiorno” con formulazioni quali: “Qualunque persona nel paese” o “a prescindere dallo status migratorio”. L’Irlanda non ha usato questo linguaggio nei documenti.
L’Irlanda si è piazzata oltre la media delle 18 nazioni europee prese in considerazione quando si è esaminato il modo in cui i funzionari pubblici hanno parlato delle popolazioni irregolari nei discorsi ufficiali. La scheda di valutazione cita il ministro della salute Stephen Donnelly: “È importante incoraggiare e facilitare i migranti senza documenti a sottoporsi al vaccino contro il Covid-19”.
De Paula e un altro brasiliano senza permesso di soggiorno che ha chiesto di rimanere anonimo dicono di non riconoscersi nelle comunicazioni ufficiali del governo. Bruton dell’Mrci dice che “per stabilire un rapporto di fiducia, è molto importante che la reazione di fronte alle comunicazioni permetta di dire: ‘Stanno parlando di me’.”
In risposta a una richiesta nell’ambito della Legge sulla libertà dell’informazione, dal ministero della Salute hanno fatto sapere che non si sono trovate linee guida interne, né politiche o comunicazioni dell’Hse che riguardino espressamente la vaccinazione delle persone senza permesso di soggiorno.
“Per stabilire un rapporto di fiducia, è molto importante che la reazione di fronte alle comunicazioni permetta di dire: ‘Stanno parlando di me’.”
Neil Bruton, responsabile delle campagne del Migrants Rights Centre Ireland
Bruton sostiene che non è d’aiuto omettere l’espressione “senza permesso di soggiorno” dalle conversazioni sulla sanità e sulle misure contro la pandemia. “Vorremmo vedere messaggi con un linguaggio chiaro rivolti a chi è irregolare, e presenti in tutte le piattaforme mediatiche.”
Alla richiesta sul perché si sia scelto di evitare l’espressione “senza permesso di soggiorno” nella politica di vaccinazione nazionale, dall’Hse hanno risposto che le domande sulle campagne di comunicazione del Governo irlandese non li riguardano.
Campagna in 27 lingue
Nell’analisi di Lighthouse Reports, l’Irlanda si è piazzata ben oltre la media delle nazioni europee per lo sviluppo di politiche ufficiali rivolte alle minoranze. L’Hse ha fatto sapere che il materiale informativo sui vaccini è disponibile in 27 lingue su Internet, in formato cartaceo e video.
Graham Clifford, CEO di Translate Ireland, ha partecipato allo sforzo di produrre velocemente informazioni sui vaccini in formato video. Clifford racconta di aver avviato l’attività da casa sua lo scorso anno, per pura necessità. Poco dopo l’inizio della crisi sanitaria, lui e sua moglie, che è medico di base, si sono resi conto che le barriere linguistiche frenavano l’accesso alle informazioni sul Covid-19 tra i richiedenti asilo di loro conoscenza. “Perciò mi sono rivolto all’Hse domandando cosa stessero facendo e quale fosse la loro strategia comunicativa. Non ce n’era nessuna”, ha riferito.
Si è poi verificato un cluster di contagi in un’industria di carne vicino a dove vivono e circa 200 lavoratori, di cui un numero consistente di brasiliani, sono risultati positivi al virus in una sola giornata. “La sanità pubblica ha cominciato a telefonare, chiedendoci cosa fare, dato che avevamo già prodotto alcuni video”, dice Clifford. L’Hse gli ha commissionato altri video in più lingue.
“Il problema è che ci facciamo in quattro per girare i video, finalizzarli, inviarli all’Hse e poi loro ci mettono settimane prima di pubblicarli. E rimangono fermi lì, non vengono condivisi.” Dall’Hse dicono che sono stati distribuiti su YouTube, in radio, nei giornali e su altri canali.
E dopo la pandemia?
Bruton dice che la pandemia ha permesso di aprire una discussione pubblica sui bisogni delle persone vulnerabili, come chi è senza permesso di soggiorno, ed va riconosciuto che il Governo ha prestato attenzione. “Nella pratica è stato difficile, ma almeno c’è stata una barriera tra il dipartimento per la protezione sociale e quello per l’immigrazione”, afferma. Dall’Hse non hanno risposto a una domanda centrale: questo blocco nello scambio di dati resterà in vigore dopo la fine della pandemia?
👉 Articolo originale sul Dublin Enquirer
Tradotto col sostegno della European Cultural Foundation.
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