Idee Migrazione e informazione

Perché la prospettiva dei giornalisti in esilio è importante

L'Ue ospita numerosi giornalisti, fuggiti dai loro paesi d'origine in seguito a persecuzioni o violenze a causa del loro lavoro. Troppo spesso queste persone non ricevono il sostegno necessario per continuare a lavorare, né sono valorizzati per l’apporto fondamentale che possono dare al giornalismo in Europa.

Pubblicato il 1 Febbraio 2023 alle 09:26

“Ridicolo: non puoi fare il giornalista ambientale e stare alla larga dal pericolo", mi dice Opoka p’Arop Otto, giornalista sud-sudanese. Siamo all'Aia, Paesi Bassi, per partecipare a True Stories, una conferenza sul giornalismo, e abbiamo ascoltato la presentazione di Uwe H. Martin. Martin, che si definisce “visual storyteller”, insieme alla moglie, Frauke Huber, produce splendide fotografie documentarie, che starebbero benissimo in un museo.

Una volta terminata la presentazione, Opoka ha chiesto a Martin perché ha scelto di lavorare sul cambiamento climatico negli Stati Uniti: non c'erano altre parti del mondo che avrebbero potuto beneficiare dell'attenzione di Martin e Huber? La risposta di Martin è stata onesta e semplice: "Non mi piace il pericolo".

Ecco perché Opoka sostiene che non si può essere giornalisti ambientali e stare alla larga dai guai. Ex caporedattore di un giornale sudanese, ha subito diverse minacce nel periodo in cui il paese è diventato indipendente nel 2011. A causa del suo lavoro ha dovuto affrontare false accuse, imprigionamenti, torture e minacce, che alla fine lo hanno spinto a lasciare il Sud Sudan. Secondo i dati dell’UNESCO 10 giornalisti hanno perso la vita a causa del loro lavoro in Sud Sudan da quando il paese è diventato indipendente. Opoka racconta la sua storia in Asylum, una serie di podcast di prossima pubblicazione prodotta da Alibi Investigations.

Opoka è solo uno dei tanti giornalisti che si trovano nel mirino del potere. In molte parti del mondo, essere un giornalista significa anche essere un difensore dei diritti umani, una persona che cerca e raccontala verità, una voce critica contro l'oppressione e la violenza. Ma questo ha un costo.

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Lo stato della libertà dell'informazione continua a essere motivo di preoccupazione a livello globale; gruppi come Amnesty International lavorano per garantire il rilascio di coloro che sono stati ingiustamente detenuti, ma a volte i giornalisti devono prendere la difficile decisione di rinunciare al loro lavoro a causa dei rischi che ciò comporta.

Durante il periodo in cui è stato ospite del programma di scambio Shelter City per i difensori dei diritti umani, Opoka è stato accolto nelle redazioni dei giornali e negli uffici governativi olandesi. Dopo aver presentato domanda di asilo e aver ottenuto la cittadinanza dei Paesi Bassi, le porte sembravano chiudersi. Nonostante la sua vasta esperienza, ha avuto difficoltà a trovare lavoro nel settore dei media.

Una giornalista keniota presente alla conferenza True Stories ci ha raccontato di aver lottato per quasi un decennio per affermarsi nel panorama mediatico olandese. La scusa addotta per le difficoltà incontrate da giornalisti come lei e Opoka, entrambi di madrelingua inglese, era che non parlavano olandese. Ma questo non ha impedito che giornalisti britannici, anch'essi non di madrelingua olandese, venissero assunti dalle quelle stesse testate.

Nonostante gli appelli a una maggiore diversità nel panorama europeo il dibattito all'interno delle redazioni rimane spesso tristemente omogenea. Si incoraggiano nuove idee e prospettive, ma ci si aspetta che emergano dall'interno. I giornalisti in esilio vengono trascurati, nonostante offrano intuizioni e prospettive preziose su questioni urgenti come la migrazione, i conflitti, l'integrazione e le questioni ambientali.

Nel 2022 la Fondazione Evens, la Stichting Verhalende Journalistiek (Fondazione per la narrazione giornalistica) e Are We Europe  hanno creato il programma Journalistic Voices Diversified (Diversificazione delle voci giornalistiche) per affrontare questo problema e ridurre il divario tra i giornalisti in esilio e i giornali europei. Quattro giornalisti in esilio provenienti da Venezuela, Palestina, Egitto e Sud Sudan (Opoka) hanno partecipato a una serie di workshop, discussioni e altri eventi. Hanno ricevuto tempo e fondi per lavorare ai loro progetti giornalistici. Ho avuto il privilegio di gestire questo progetto per Are We Europe e di avere la possibilità di partecipare a incontri settimanali con i giornalisti coinvolti.

Abbiamo cominciato identificando le problematiche dei giornalisti in esilio e ci siamo chiesti come il programma potesse affrontarle. Abbiamo adottato fin dall'inizio un approccio collaborativo per garantire che il programma rispondesse realmente alle esigenze e alle preoccupazioni dei giornalisti.

Piuttosto che adottare un approccio alla diversità basato sulle quote, abbiamo esplorato i modi in cui i giornalisti in esilio potevano trarre beneficio dai mezzi d'informazione, abbiamo confrontato i paesaggi mediatici del Belgio e dei Paesi Bassi con quelli dei paesi d'origine dei partecipanti per identificare le competenze che potevano essere sviluppate. Abbiamo anche dato ai partecipanti lo spazio per perseguire i propri interessi ed esplorare nuovi approcci al giornalismo.

Per alcuni giornalisti in esilio, ad esempio, diventare freelance è stata un'esperienza sconcertante.  Omeyma Khair-Masoud, una presentatrice televisiva palestinese, si è sentita frustrata dalla sua attrezzatura durante un workshop sul podcasting: come giornalista freelance in Belgio, deve fare tutto da sola, compresa la registrazione delle interviste e la postproduzione. Nonostante gli sforzi delle ong che sostengono i giornalisti in esilio, molti di loro si sentono costretti ad abbandonare il proprio lavoro, quello a cui tengono così tanto da lasciare il proprio paese per poterlo svolgere.

Durante il programma Shelter City, Opoka ha parlato spesso del dilemma che si è trovato ad affrontare: rischiare tutto tornando in Sud Sudan e riprendere il suo lavoro lì, oppure rimanere nei Paesi Bassi in cambio della sicurezza. È difficile immaginare come affrontare una decisione così importante, soprattutto per chi ha investito così tanto nel proprio lavoro.

I giornalisti che vivono in contesti ostili non sono persone che si tirano indietro facilmente. Si battono per ciò in cui credono e considerano il loro lavoro come un distintivo di onore e integrità. Scegliere l'opzione sicura significa allontanarsi. Ma questo potrebbe essere l'unico modo per continuare a fare il loro mestiere.

Questo articolo fa parte del progetto Journalistic voices diversified della Evens Foundation.
In associazione con Evens Foundation

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